ABBECEDARIO A MODO MIO

ABBECEDARIO A MODO MIO


"IL CONTRARIO DELL'AMORE NON E' L'ODIO, MA L'INDIFFERENZA. IL CONTRARIO DELLA VITA NON E' LA MORTE,MA L'INDIFFERENZA QUALSIASI COSA SCEGLIATE, MIEI GIOVANI AMICI, NON SIATE INDIFFERENTI" E.Wiesel

Sono particolarmente sensibile ai problemi sociali e a quelli delle persone più deboli: faccio del mio meglio perché si affermino i diritti di cittadinanza, di libertà, di eguaglianza, di giustizia, del lavoro, allo studio, a essere curati.
Credo in una società aperta, solidale, protesa al futuro, ma un futuro di equità e fratellanza.
Credo che ciò debba essere raggiunto assieme a tutti gli uomini di buona volontà che non hanno una visione egoistica della vita.
Alla domanda posta dai versi di una canzone "...Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?", vorrei che di me si dicesse, parafrasando ancora i versi del medesimo cantautore: "Ha avuto la forza che serve a camminare, ...e comunque la sua parte l'ha potuta garantire".
(Introduzione de "Abbedecedario a modo mio", del sottoscritto, Euzelia edizioni)

lunedì 16 gennaio 2012

NOVEMBRE 2006

giovedì, novembre 30, 2006
 
L - della Libertà
Il fatto: Enrico Deaglio, giornalista noto e direttore del settimanale Diario, è autore, insieme a Beppe Cremagnani di un film distribuito in dvd e di un piccolo libro intitolato Uccidete la democrazia. Affronta la domanda che da mesi gira per la testa di molti italiani: che cosa è accaduto nella lunga notte tra il 10 e l´11 aprile, quando i risultati delle elezioni politiche italiane più importanti del dopoguerra non arrivavano mai; quando, per la prima volta nella storia della statistica applicata alla misura del voto, i dati dei sondaggi, uguali a quelli degli exit poll, risultavano poi vastamente diversi dai risultati proclamati, che lentamente, molto lentamente, apparivano sul video?
Che cosa è accaduto nella notte dal 10 all´11 aprile, quando il ministro dell´Interno ha lasciato il suo ministero insieme a tutti i suoi sottosegretari e in quelle stanze chi cercava risposta, poteva incontrare solo funzionari senza risposta?
Che cosa è accaduto nella notte dal 10 all´11 aprile, mentre il ministro dell´Interno stava non al Viminale, non a Palazzo Chigi, ma a casa del leader di uno dei due schieramenti contrapposti, Silvio Berlusconi?
Che cosa è accaduto nella notte dal 10 all´11 aprile se l´altro leader, Romano Prodi, e il segretario del maggior partito della opposizione, Piero Fassino, hanno deciso di presentarsi alla folla del centrosinistra in attesa per annunciare la vittoria che fino a quel momento il ministero dell´Interno non aveva dichiarato, pur essendo in possesso di tutti i dati per farlo? Le domande sono legittime. Che cosa rende legittima una domanda? Non una legge che la permetta (non in democrazia). Ma che sia generata da un fatto vero e che a quel fatto continui a mancare una risposta. Il fatto è vero. Tutti sappiamo che il ministro dell´Interno non era al Viminale, tutti sappiamo che nelle ore decisive di quella elezione era nell´abitazione privata di uno dei candidati (in quel momento, presidente del Consiglio). Tutti sono disposti a credere che vi possano essere buone ragioni. Ma quelle ragioni non sono mai state comunicate. Tutti sappiamo che la vittoria del centrosinistra è stata dichiarata dai leader stessi del centrosinistra, anche per supplire al prolungato e inspiegato silenzio dell´organo competente, il ministro dell´Interno.
Dunque le domande stanno in piedi. Nel dvd intitolato Uccidete la democrazia, Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani prendono dalla realtà e dalla memoria degli italiani quelle domande. Risposte? Non ne hanno. Però hanno messo in ordine e presentato con intelligenza, con cura e con prudenza le ipotesi a ciascuna domanda cieca. Ipotesi vuol dire risposta possibile in base a ciò che è noto. Non vuol dire conferma o dichiarazione di ciò è ignoto.
Nel diritto penale di tutti i Paesi esiste il processo indiziario. È tale un processo motivato dalla forza clamorosa di fatti che tuttavia finiscono nel vuoto di risposte. E allora si prova a riempire quel vuoto di ipotesi. E la decisione finale consiste nello stabilire con ricostruzioni plausibili e dati verosimili se quelle ipotesi consentono di costruire la parte mancante del disegno.
Deaglio e Cremagnani, nel dvd di cui stiamo parlando, si comportano esattamente così. Che vuol dire proporre scenari ragionevoli e verosimili. La pretesa non è di concludere «adesso vi diciamo noi come è andata». Ma invece è quella di bravi e affidabili professionisti che non abbandonano una questione importante solo perché è rimasta finora inspiegata. Il senso del dvd è insistere nella domanda, non nel far circolare una risposta.
È esattamente la definizione del mestiere di giornalista, così come è stata esemplarmente condotta dai grandi colleghi americani che ammiriamo. Molti, a questo punto, ricorderebbero il celebre Watergate così poco gradito a Nixon da indurlo alle dimissioni della presidenza degli Stati Uniti.
Vorrei ricordare la vicenda nota con il nome «Iran-Contras», scambio di armi per droga ad opera di servizi segreti, ai margini delle ultime ore di guerra fredda sotto la presidenza di Ronald Reagan. Quando vaste inchieste giornalistiche (che iniziano sempre con il tornare a proporre certe domande antipatiche, non lo sventolare di risposte che ancora non ci sono) hanno cominciato a prendere corpo, la magistratura ordinaria ha dovuto occuparsi del presidente Reagan. L´inchiesta era in corso, niente affatto promettente per il grande statista, quando è scaduto il termine presidenziale. Quella inchiesta è stata fermata dal successore di Reagan, George Bush padre, con l´espediente del «perdono presidenziale» che è concesso una sola volta alla prima inaugurazione di un nuovo presidente.
Tutto ciò per dire la nostra meraviglia di cittadini italiani e di giornalisti italiani. In una vicenda condotta con molta più cautela che nel Watergate (in cui a lungo le accuse al presidente degli Stati Uniti sono tate basate sulle rivelazioni anonime di «gola profonda») e con molta più prudenza che nella vicenda Iran-Contras (Deaglio e Cremagnani non propongono in proprio alcuna verità) la magistratura è intervenuta come in America. Ma non per sviluppare con mezzi più adeguati l´inchiesta. Piuttosto per imputare i giornalisti di diffondere notizie false.
La gravità dell´evento si ripete tre volte. La prima perché nel dvd non ci sono notizie false. Ci sono solo le notizie vere trasmesse da tutti i telegiornali di quei giorni e quelle notti. La seconda perché non solo la funzione di immaginare in che modo continua la parte ignota della realtà è tipica del mestiere giornalistico, ma è tipica di tutte le posizioni di responsabilità. Esempio: perché non investigare per diffusione di notizie false gli immunologi che hanno così a lungo pubblicamente discusso di una infezione aviaria che, per fortuna, non è ancora esplosa? Eppure, proprio come i giornalisti, essi hanno visto gli uccelli morti (che erano veri) e hanno dedotto (non dimostrato) l´eventualità di un rapido contagio, che era e che è, purtroppo, possibile, ma che però non è accaduto. Può ciò che che si chiama previsione - nel caso degli scienziati - essere dichiarato «notizia falsa» nel caso di un giornalista che teme che esistano, in certi comportamenti e in certi fatti realmente avvenuti, pericoli gravi per la democrazia? Può qualcuno rimuovere quel giornalista da quel giudizio e privarlo del diritto, anzi del dovere, di quella valutazione degli eventi?
Diverso sarebbe stato se una conferenza stampa tempestiva e chiara dell´ex ministro degli Interni avesse fatto sapere ai cittadini dov´era e perché nelle lunghe ore dei risultati elettorali che stranamente, lentamente cambiavano, restando sempre in sospeso.
Non siano tra coloro che hanno sempre affermato di avere fiducia in quel ministro dell´Interno. Ipotesi per ipotesi, siamo tra coloro che hanno pensato a un suo intervento estremo per impedire svolte o eventi illegali.
Non abbiamo ragione di rivedere quel giudizio oggi. Ma, allo stesso modo, non possiamo, parlando da cittadini immaginare di vivere in un Paese in cui non si possono proporre domande essenziali che finora non hanno trovato risposta.
Parlando da giornalisti, proviamo un senso di smarrimento e paura. Dov´è l´equivoco che ha consentito di rendere imputato un reporter che espone molte ragioni di temere per la vita democratica del suo Paese? Manca un senso logico a ciò che è accaduto perché le domande di questo dvd sono le domande di milioni di italiani. Manca, in base ai codici repubblicani e a tutte le leggi del dopo Resistenza, una ambientazione giuridica della imputazione a Deaglio. E intorno a ciò che è accaduto, manca tutta la prima parte della Costituzione. La questione non è di parte e non è di gruppo professionale. Ha a che fare con i fondamenti della nostra libertà.
(da L'Unità di oggi)

Ma poi, se qualcuno vorrà rispondere:
- perchè l’appalto per lo scrutinio elettronico  delle elezioni di 4 regioni fu concesso (per 38 milioni di euro!) alla società Usa Accenture, di cui il figlio di Pisanu è socio?
- perché Berlusconi che ha gridato ai brogli prima, durante e dopo le elezioni non è indagato di nulla?

Mala tempora...
postato da carnesalli | 14:19 | commenti (3)
democrazia

mercoledì, novembre 29, 2006
 
O.P. – Ordine Pubblico (Pecorelli?)

Commovente Berlusconi: getta la macchinetta della pressione (oltre che i postumi della digestione lenta dopo la cena dalla Santanchè) oltre l’ostacolo e afferma con indomito coraggio: “Non temete, io rimango fin quando riporteremo l’Italia nell’alveo della totale libertà”.
E pensare che io temo proprio perché rimane…

Intanto mentre i giornali amplificano questi roboanti proclami, il giornalista Deaglio viene indagato per una inchiesta giornalistica (libertà di pensiero, ipotesi giornalistiche, quindi).

Motivazione: la libertà di pensiero “turba l’ordine pubblico”.
Neanche fossimo rimasti a Pella o a Tambroni.

E il senatore Guzzanti allora, con la sua Commissione Mitrokhin?
A me qualche turbamento l’ha procurato…

Mi viene un dubbio: che abbia ragione Berlusconi?
Che in qualche periodo la libertà sia stata davvero a rischio?

Ma poi: le schede bianche? E le nulle? E la scomparsa per alcune ore del Ministro dell’interno nella residenza privata dell’allora Presidente del Consiglio? E la mancanza di dati ufficiali a mesi dalle elezioni? E il flop completo dei sondaggisti?

Indagare no, eh?
Così, per curiosità, per fugare ogni dubbio.

Ma già, non dobbiamo avere dubbi, allora imperava il campione delle libertà.

Mi vergogno un po’ di essere italiano…

postato da carnesalli | 09:50 | commenti (4)
politica, democrazia, fessono

lunedì, novembre 27, 2006
 
R - E' stato un Regime?
Articolo di Furio Colombo
Oggi, nel giorno che segue il malore ancora inspiegato di Berlusconi, è doveroso associarsi agli auguri di Prodi. Non c´è bisogno di essere amici, meno che mai dipendenti, per augurare a una persona temporaneamente colpita da un male, un voto sincero di guarigione. È bene che la sua voce torni netta come è sempre stata per poter ascoltare, capire e interpretare senza finzioni ciò che lui, con molta chiarezza, continua a dire.
Ieri, a Montecatini, ha concluso: «Vi lascio in eredità il partito della Libertà».
Dando per scontato che Berlusconi stia bene e che continuerà a ripetere questa frase, è necessario capirla.
Essa è la chiave di tutta la vicenda Litvinenko-Scaramella-Guzzanti, una vicenda fuorilegge, che diventa torbida e finisce tragicamente nel delitto Polonio 210.

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postato da carnesalli | 13:44 | commenti (2)
politica, democrazia

venerdì, novembre 17, 2006
 
I pochi viandanti che ancora passano di qui, ricorderanno che qualche giorno fa ho scritto a proposito di una ricerca Iard sui giovani e sulla solitudine.
Qualcuno forse ricorderà anche che non molto tempo fa, in un periodo buio della mia vita, vedevo, tra i segni di ripresa, un nuovo impegno "cultural-politico".
Bene, questo è il primo frutto di quel lavoro, che mi piace sottoporre al vostro giudizio per avere un vostro parere.

"La città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitarla non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti.”. (I. Calvino- Le città invisibili)
“ … questa è una realtà proprio brutta. A volte mi sento molto stanco. Credo che si dovrebbe scrivere di com’è oggi questo paese. Qualcosa, nei libri, si comincia a vedere. Molto più che nel cinema, dove siamo sempre al minimalismo, alle storie piccolo borghesi. Che noia. Ma che aspettiamo a cambiare?” (Nicolò Ammaniti)


1.                Premessa

Cosa sono oggi le nostre città, le nostre periferie, i nostri paesi?

Un viaggio all’interno e fuori le nostre città dovrebbe partire innanzitutto dalle abitazioni, sempre più piccole perché costose e mono familiari, in cui i nuclei sono ormai composti di singoli individui o coppie con figli annessi; poi, intorno ad esse, si sviluppano le complesse traiettorie del traffico che le collegano ai luoghi di lavoro (sempre più mutevoli, frantumati e precari), ai centri commerciali e ai luoghi di svago (spesso i due luoghi coincidono).

In mezzo a questi luoghi c'è il nulla: i mercati scompaiono, le piazze sono solo un luogo di passaggio (ma possono diventare anche luoghi dove non passare), i centri della decisione politica sono lontani ed estranei. Le vecchie aree di coesione sociale hanno perso l'originale funzione. “L'antico cittadino, che poteva provare un senso di comunità … , non esiste più: sembriamo individui che, quasi casualmente, si ritrovano a vivere nello stesso luogo. (Tullio Tommasi, “Le città Possibili”)

I piccoli o i medi comuni inglobati dai sistemi metropolitani, appaiono “ … sobborghi infiniti attraversati da strade lungo le quali si susseguono centri commerciali, fabbriche di piastrelle, mobilifici, outlet.  … tutto quanto popola i giorni e le notti dell’immensa provincia, del Paese profondo … ” (Nicolò Ammaniti)

Sembra di assistere all’avverarsi della profezia di Pierpaolo Pasolini, quando percepiva il fenomeno di una “mutazione antropologica”, “attraverso lo sviluppo della produzione di beni superflui, l’imposizione della smania di consumo, la moda, l’informazione – soprattutto la televisione… (che) gettando a mare cinicamente i valori tradizionali e la chiesa stessa … pretende che tali uomini vivano dal punto di vista della qualità della vita, del comportamento e dei valori in uno stato di imponderabilità”.

Questo processo di trasformazione che si è abbattuto sulle nostre città e sul nostro modo di vivere, non assume le caratteristiche di una crisi sociale, almeno nel nostro “nord”, ma colpisce, come ha sottolineato Costanzo Ranci nel nostro Convegno di gennaio, “gli elementi costitutivi della coesione sociale della città: la distribuzione relativamente equa delle risorse, la stabilità dei meccanismi d’integrazione sociale, la capacità di assorbimento delle tensioni da parte della famiglia. Una disarticolazione che ha frammentato il tessuto sociale e ha contribuito a creare nuove forme di disuguaglianza e un senso diffuso di incertezza e disorientamento”.

Ma, allora, come si vive, e quanto si vive, dentro queste realtà?

Una risposta possibile è quella di Italo Calvino: “La città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitarla non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti."

E se la città è diventata quel “monstrum” che abbiamo appena descritto ecco che per l’individuo non resta poco altro oltre la solitudine e il senso d’impotenza. E forse è proprio questa condizione, quella della solitudine e del senso d’impotenza, che accomuna tante persone, altrimenti socialmente e culturalmente diverse.

La solitudine nelle periferie urbane. Cosa sono oggi le periferie urbane, i quartieri come la Barona, Gratosoglio, Quarto Oggiaro, ecc? Risposta facile, è sufficiente visitarli o viverci: zone semideserte, senza negozi, labirinti di case. Dove un tempo c’erano circoli e associazioni che con mille difficoltà animavano la vita delle persone, oggi ci sono i bar. La casa è diventa, necessariamente, l’unico spazio di vivibilità, Una vivibilità che si esaurisce però davanti alla tv, momento e luogo dove si consumano le solitudini, quella dei figli, quella dei padri e quella delle madri. La tv diviene un genitore più importante dei genitori stessi che condiziona scelte e stili di vita, aggressività e non dialogo, onnipotenza ed egoismo, allo stato puro, senza limiti e confini.

La solitudine nei luoghi di lavoro. Nel nostro territorio la forte presenza di piccole imprese ha indubbiamente mantenuto il nostro “vantaggio competitivo”, ma ha contribuito a lacerare le relazioni umane tra le persone. Il vincolo solidale tra i lavoratori, cresciuto anche grazie alle possibilità relazionali offerte dalla grande impresa, appare oggi compromesso. Nel micro cosmo della piccola azienda, i ritmi della produzione e della competizione, la presenza costante del datore di lavoro e la precarietà dei rapporti di lavoro, lasciano ben poco spazio alla creazione di solidali relazioni personali.

La solitudine nella scuola. Certo, ci sono i dati, già inquietanti e inequivocabili (in Lombardia l'abbandono scolastico si attesta intorno al 14%, concentrandosi maggiormente a Milano, Brescia, Bergamo e Como). Ma oltre a questi dati c’è anche una realtà meno evidente ma molto diffusa, quella di una progressiva divaricazione, tra le scuole di “elite” e le scuole di “serie B”: pensiamo, in particolare, alle scuole professionali, aree di parcheggio per giovani che altrimenti andrebbero ad ingrossare l’area del precariato o della disoccupazione. Insomma, tanti ragazzi a cui è stata strappata ogni possibilità di avere un futuro di vita ricco di opportunità e di … felicità.

La solitudine nella malattia. E quale condizione possiamo aspettarci per chi si ammala nelle nostre città o nelle periferie anonime? Chi si trova ad essere malato si trova sempre più impotente, uno spettatore passivo di un destino che lo sovrasta, e su cui solo i medici possono intervenire. Un sentimento che somiglia alla percezione di un peso. Se la malattia è grave il peso appare insopportabile; l'impossibilità di "dire" alimenta facilmente l'ostilità verso gli altri; e l'ostilità scoraggia ulteriormente chi sta intorno. Circondati da mille medici, si può essere soli.

2.                La nostra proposta

Quando ci inoltriamo in un territorio straniero, di cui non conosciamo la lingua, l’esigenza di comprendere e di farsi comprendere trova una prima risposta nella comprensione del lessico. Solo in un secondo momento e di fronte ad esigenze più sofisticate tentiamo di comprendere la sintassi.

Siamo tutti consapevoli che la politica, almeno com’è oggi praticata, appare incapace di comprendere ciò che viene urlato o più sommessamente sussurrato dalla società italiana, dalle persone che ogni giorno praticano la difficile arte del vivere.

Ecco, allora, che le pretese della politica di guidare la società, pur assolutamente necessarie, devono essere accompagnate anche dalla capacità di ascoltare queste voci, ritrovando l’umiltà di chi, prima di offrire soluzioni o imprimere giudizi, rinnova il proprio “vocabolario”.

Per questo proponiamo alcuni incontri che sappiano riportare al centro della scena politica le “voci della città”, coinvolgendo quei testimoni che pur non rinunciando al lavoro intellettuale di razionalizzazione e di riflessione hanno vissuto però in prima persona le tensioni e i problemi che saranno affrontati. Non esperti ma testimoni.

3.                Calendario degli incontri

1° Incontro “La solitudine nelle periferie urbane”. Paolo Branca (esperto di immigrazione), Don Gino Rigoldi

2° Incontro “La solitudine nei luoghi di lavoro”. Umberto Oliva (esperto in tutela dei lavoratori dalle violenze morali e alla responsabilità aziendale) e Bruno Tacconi (imprenditore)

3° Incontro “La solitudine nella scuola”. Roberto Vecchioni (artista e docente di scuola media superiore) e Luigi Fagioli (docente di scuola media superiore)

4° Incontro “La solitudine nella malattia”. Marco Tam (medico)


postato da carnesalli | 13:49 | commenti (1)
societa

lunedì, novembre 13, 2006
 
Concerto di Francesco Guccini

Magia, emozione - e gioia - di sentirmi raccontare la mia vita...
P.S.
Consiglio la lettura di questo articolo di Maurizio Chierici
Una riflessione credo che meritino anche queste parole del Papa
postato da carnesalli | 14:00 | commenti (4)
poesia, memoria, persone

venerdì, novembre 10, 2006
 
P.a.f. - Polpette avvelenate (e falsità)

Oggi campeggiano sul sito di Forza Italia due immagini.
Una doppia: da una parte carri armati con la scritta "ieri violenza, paura e repressione", dall'altra un'mmagine di Prodi con la scrita "oggi tasse, odio sociale e falsità".
L'altra raffigurante il solito faccione storpiato di Prodi (già poco bello di suo) con una scritta che recita: "contro il governo delle tasse e falsità".

Sobrie, garbate e di buon gusto queste immagini, soprattutto perché aiutano molto a svelenire il clima.
Io poi chi sarei, in questo quadretto: Beria?
Del resto dal “partito dell’amore” non ci si poteva aspettare molto di più…

Tasse: rimando a questo bell’articolo dell’economista Nicola Cacace
Odio sociale: ma non sarà di chi diffonde queste immagini edificanti?
Falsità?

Alti lai si alzano, ad arte, da ogni dove, ultimamente, soprattutto da chi fino a ieri ha mangiato a testa china minestra e oggi pretende di passare di colpo al caviale.
Spesso poi senza sapere che le scorte in cucina sono finite.
O che le poche derrate rimaste sono avvelenate.

Solito acrimonioso? Velinaro d’assalto?
No, ma a proposito di falsità, qualche dato (dato, verificabile, non opinione) riferito al “welfare”:

A. Il Fondo per le politiche sociali
Il Fondo per le politiche sociali dell’anno 2005 è stato ridotto alla metà. Delle risorse da assegnare alle Regioni (1 miliardo di euro) solo la metà circa (518 milioni di euro) è stata effettivamente ripartita tra le Regioni, mentre 482 milioni di euro devono ancora essere erogati.
Ma il ridimensionamento del Fondo operato nel corso della passata legislatura è stato continuo e progressivo, sia in termini di dotazione, che nelle erogazioni effettive: negli ultimi tre anni, le risorse in Finanziaria sono passate da 1,657 miliardi di euro del 2004 a 1,276 miliardi di euro nel 2005 per arrivare a 1,157 milioni di euro con la Finanziaria 2006. Così si è definitivamente sancito per il 2006 un taglio di 500 milioni (-30%) rispetto al 2004, già surrettiziamente introdotto nel 2005.
Finanziamenti mancanti: 500 milioni di euro annui

B. Il mancato sostegno alle famiglie in difficoltà
Nel Patto per l'Italia del 2002, il Governo ha proposto il Reddito di ultima istanza (Rui), in sostituzione del Reddito minimo di inserimento (Rmi), introdotto dal centrosinistra nel 1998, come provvedimento per favorire l’inclusione lavorativa e sociale dei soggetti emarginati.
In realtà, questo sostegno alle famiglie più povere è stato di fatto soppresso, lasciando l’Italia priva di una strumento universalistico contro la povertà, nonostante le sollecitazioni dell’Unione Europea a dotarsi di una misura di questo tipo. Infatti, nel 2004 le risorse per il RUI sono state risibili rispetto alle esigenze e ai numeri del disagio: 30 milioni di euro, una piccola parte di quanto stanziava il centrosinistra per la sperimentazione del RMI in 306 comuni.
Secondo l’Istituto di valutazione del RMI incaricato dal Ministero, l’estensione di tale tipo di assistenza a tutti i destinatari è stimata avere un costo pari a circa due miliardi di euro.
Questo Governo dovrà reperire risorse per rimettere in cantiere un sostegno adeguato alle famiglie in difficoltà.

C. La spesa sanitaria
Lo scorso Governo, in Finanziaria, stanziava 90,96 mld, più 2 mld a ripiano dei disavanzi 2002-2004 erogati a condizione che le Regioni riducano in modo drastico le liste d’attesa negli ospedali e in tutte le strutture pubbliche. “Vincolo” lo ha definito ipocritamente il Governo, mentre in un contesto di tendenziali molto più elevati dello stanziamento e di cronici disavanzi, dove le insufficienti risorse finanziarie non possono che tradursi in più elevati disavanzi a consuntivo, si è a tutti gli effetti di fronte ad un taglio. Il problema è stato così scaricato sulle Regioni e il prossimo Governo (questo).
Inoltre, secondo Vasco Errani, Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome: “Siamo di fronte a una sottostima delle risorse necessarie pari a circa 4,5 miliardi di euro per il 2004”.
A tutto ciò bisogna aggiungere le risorse a fini perequativi per gli anni 2002-2005, sinora bloccate a causa del congelamento del Dlgs 56/2000, ma che dovranno essere erogate alle Regioni: si tratta addirittura di 12,7 miliardi di euro.
Finanziamenti mancanti: 17 miliardi di euro

NIENTE FONDI PER LE FUNZIONI TRASFERITE ALLE REGIONI
Le numerose (dagli incentivi alle imprese, al mercato del lavoro, alla viabilità etc.) funzioni delegate alle Regioni dalla legge 59/97 (“Bassanini”) e dai relativi provvedimenti di attuazione sono state, sinora, finanziate con trasferimenti dal bilancio dello Stato per circa 2 miliardi di euro (di cui 636 milioni per incentivi alle imprese). Questi trasferimenti sono cessati il 1° gennaio 2006 perché il fabbisogno finanziario avrebbe dovuto essere coperto con il gettito derivante dalla fissazione delle aliquote della compartecipazione regionale all’IVA e all’accisa sulle benzine, e dell’addizionale regionale all’IRPEF: la rideterminazione delle aliquote non è stata fatta, e la sostituzione dei trasferimenti erariali con il gettito fiscale è resa problematica dal blocco del Dlgs 56/2000. Eppure il Governo non ha prorogato il termine dei trasferimenti alle Regioni al 1° gennaio 2007. Dovrà provvedere il Governo in carica, altrimenti Regioni ed enti locali non potranno esercitare le funzioni trasferite, tra cui figurano anche il trattamento economico degli oltre 10.000 dipendenti statali trasferiti presso i medesimi enti territoriali e tutto il sistema degli incentivi alle imprese.
Finanziamenti mancanti: 2.028 milioni di euro di cui 636 milioni per gli incentivi alle imprese.

Preferisco non fare commenti, che mi riuscirebbero piuttosto facili.
Diciamo che, come sosteneva noto personaggio televisivo di qualche tempo fa, tutto ciò è “per la precisione”.

P.S. A proposito di falsità, carina questa vignetta di Marmotti sullo “scoop” del TG2.



Falso, naturalmente.









postato da carnesalli | 12:33 | commenti (3)
politica, controcanto, economia - articoli

martedì, novembre 07, 2006
 
G - Giovani sempre più soli
E' uscito il sesto rapporto dell'istituto "Iard" (Istituto sulla condizione giovanile in Italia)
Mi sembra particolarmente interessante e per questo lo voglio riportare.
In più mi dà lo spunto per proporre nei giorni prossimi un’iniziativa che va maturando e circa la quale mi piacerebbe sentire il vostro parere.

Venti anni di analisi a confronto per capire come sono cambiati i giovani italiani.
Nodo dolente questo per la maggior parte dei giovani italiani, ben rappresentato dai tremila ragazzi (dai 15 ai 24 anni) intervistati su tutto il territorio nazionale.
Se nel 1983 infatti era uscito di casa il 17 per cento dei 15-
17enni, oggi soltanto il 3 per cento. Situazione simile anche per le altre fasce di età: ad esempio per i 18-20enni si è passati dal 39% al 25%. Solo dopo i 25 anni si registrano le prime consistenti uscite di casa, spesso in concomitanza con il matrimonio o la convivenza; tuttavia: quasi il 70% dei 25-29enni e oltre un terzo tra i 30-34enni (36%) vive ancora con i genitori.
"Su questi processi esercitano un'importante influenza molti aspetti della società odierna - ha commentato Alessandro Cavalli, presidente del comitato scientifico dell'Istituto 'Iard' - percorsi di studio più lunghi che in passato, con un ingresso più tardivo nel mondo del lavoro, si pensi che tra i 25-29enni c'è ancora un 35% di giovani che non lavora e tra i 30-34enni è il 23% e la precarizzazione del mercato del lavoro, che ha però segnato un'inversione di tendenza rispetto ai dati del 1996, con una maggior partecipazione giovanile al mondo del lavoro e il difficile accesso al mercato del credito e della casa".
Guardando al futuro. Naturalmente ciò influenza le aspettative. La visione del futuro è quella di un vasto campo di possibilità, sempre aperto. Impegnarsi in scelte troppo vincolanti non piace: se questo era vero nel 1987 per il 65% degli intervistati oggi lo è per l'80%. E sarà probabilmente a causa del confronto quotidiano con i termini e le dinamiche del precariato, ma nell'ultimo decennio si è diffusa inoltre l'idea che nella vita anche le scelte più importanti non sono "per sempre" (dal 49% del 1996 al 54% del 2004).
Le cose importanti della vita. Così seppure ogni scelta è considerata reversibile, ci sono valori però che rimangono ai primi posti e a cui di dà importanza praticamente assoluta: la salute, ad esempio, che raccoglie il consenso della quasi totalità del campione (92%), seguita a pochi punti percentuali dalla famiglia (87%) e dalla pace (80%, a pari merito con il valore della libertà. E ancora: l'amore (76%) e l'amicizia (74%).
Significativo in questo caso il fatto che accanto alla famiglia considerata stabilmente negli anni quale valore imprescindibile, i dati mostrano una crescita dell'amicizia (nel 1983 era considerata "molto importante" dal 58% dei giovani; nel 2004 dal 78%). Si riduce, invece, nella scala delle priorità, l'importanza attribuita alla dimensione lavorativa, che passa, negli anni 1983-2004, dal 68% al 61% dei consensi; quella attribuita alla carriera (ben 12 punti in meno in 8 anni - dal 1996 al 2004).
Mentre sorprende l'importanza attribuita al valore della solidarietà: negli ultimi otto anni passa dal 59% dei consensi al 42%. "Le cose importanti per i giovani - ha detto il presidente di 'Iard' Antonio de Lillo - sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta, a scapito dell'impegno collettivo".
L'atteggiamento verso la politica. A questo proposito viene considerato anche il rapporto con la politica. L'impegno vero e proprio coinvolge una piccola fetta di ragazzi (appena il 4%). E anche la fiducia negli uomini politici si attesta su livelli molto bassi, nonostante una crescita dall'8% al 12% negli anni dal 2000 al 2004. Cresce d'altro canto, dopo un'inversione di tendenza registrata nel 1996, l'atteggiamento di delega (il 35% pensa che si debba "lasciare la politica a chi ha la competenza per occuparsene", contro il 26% del 1996) e si riduce, seppur lievemente, quello di disgusto (dal 26% al 23%).
Va detto però che il fatto di sentirsi disgustati verso certi modi di fare politica è un dato che dagli anni '80 è cresciuto a lungo in modo esponenziale dal 12% al 23%. Tuttavia, la partecipazione concreta ci mette di fronte ad uno scenario diverso: solo il 23% dichiara di non partecipare "mai". Un trentenne su due dichiara di aver assistito ad un dibattito politico, un 15-17enne su tre ha partecipato ad un corteo, quasi 1 maggiorenne su 4 ha firmato per un referendum e 1 su 10 ha aderito ad un boicottaggio.
E alla domanda "Quale obiettivo prioritario dovrebbe avere la politica?" si osservano forti cambiamenti nelle risposte: si assiste, infatti, a un calo costante dell'importanza attribuita a "mantenere l'ordine della nazione" (dal 36 % del '92 al 26% del 2004) e a "dare maggior potere alla gente nelle decisioni politiche" (dal 32% al 14%); mentre è in crescita l'idea che la politica debba "proteggere la libertà di parola" (dal 25% al 35%).
In cosa credono? Per quel che riguarda poi la sfera del rapporto con enti, media e istituzioni. Dagli anni '80 ad oggi, si registra il declino della fiducia nei confronti di molte istituzioni: gli insegnanti, la polizia, i militari di carriera, le banche e gli uomini politici. Tuttavia l'ultima rilevazione riserva qualche novità: una crescita della fiducia attribuita soprattutto agli organi di controllo. I giovani che dichiarano di aver fiducia nei militari passano dal 32% del 2000 al 52% del 2004, raggiungendo livelli di consenso mai sfiorati. Continua, al contrario, inarrestabile, il declino della fiducia nelle banche (meno 10% negli ultimi 4 anni, ma ben meno 23 punti percentuali nel ventennio) e nei mass media.
Si registra, infatti, un crollo della fiducia da parte dei giovani nei confronti della televisione: si passa dal 47% di coloro che si fidavano della televisione privata nel 1996, al 33% del 2004; e per quella pubblica dal 53% dei consensi si passa al 38%. La metà del campione, infine, si fidava dei giornali nel '96: percentuale lievemente in discesa nel 2004 (meno 6%). Una generale sfiducia nelle istituzioni e un bisogno di maggiore tutela, dunque che si registrano nella cronaca quotidiana e che in certi casi fanno guardare ai giovani soprattutto come a un problema.
postato da carnesalli | 10:56 | commenti (2)
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