ABBECEDARIO A MODO MIO

ABBECEDARIO A MODO MIO


"IL CONTRARIO DELL'AMORE NON E' L'ODIO, MA L'INDIFFERENZA. IL CONTRARIO DELLA VITA NON E' LA MORTE,MA L'INDIFFERENZA QUALSIASI COSA SCEGLIATE, MIEI GIOVANI AMICI, NON SIATE INDIFFERENTI" E.Wiesel

Sono particolarmente sensibile ai problemi sociali e a quelli delle persone più deboli: faccio del mio meglio perché si affermino i diritti di cittadinanza, di libertà, di eguaglianza, di giustizia, del lavoro, allo studio, a essere curati.
Credo in una società aperta, solidale, protesa al futuro, ma un futuro di equità e fratellanza.
Credo che ciò debba essere raggiunto assieme a tutti gli uomini di buona volontà che non hanno una visione egoistica della vita.
Alla domanda posta dai versi di una canzone "...Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?", vorrei che di me si dicesse, parafrasando ancora i versi del medesimo cantautore: "Ha avuto la forza che serve a camminare, ...e comunque la sua parte l'ha potuta garantire".
(Introduzione de "Abbedecedario a modo mio", del sottoscritto, Euzelia edizioni)

lunedì 16 gennaio 2012

GIUGNO 2006

 

venerdì, giugno 30, 2006
 
A – Afghanistan (o dell’Afasia politica…)

Consiglio a tutti – ma in particolare agli amici che hanno votato Rifondazione, Verdi o Pdci, perché facciano sentire, se credono, la loro voce “colà dove si puote” – un bellissimo, bellissimo, bellissimo articolo di Furio Colombo (attenzione, prima c’è quello di Pirani).
Una riflessione utile, credo, per esercitarsi a coniugare “idealità” e “realtà”, perché la mediazione non è l’arte del ribasso, ma del rispetto reciproco e della crescita assieme.
E rompere il giocattolo, come fanno i bambini, non credo sia utile.
Leggetelo, vi prego.
E consiglio a tutti – a tutti – la lettura di uno dei libri più belli che mi sia capitato di leggere, e non sono pochi.
E’ davvero intrigante e si legge – e non è una frase fatta – tutto d’un fiato.
E ci racconta qualcosa di questo Afghanistan, che ci può aiutare a capire meglio.

 Il cacciatore di aquiloni
 Khaled Hosseini 

 Traduttore: Isabella Vaj 
 Casa editrice: Piemme 

 Prezzo: 17,50 
 Pag: 394 



postato da carnesalli | 11:14 | commenti (2)
politica, idee, controcanto

giovedì, giugno 29, 2006
 
B.M – Bivacco di manipoli (o anche bestialità maleducata o becero Malan)





Antefatto:
Al Senato previsto voto di fiducia chiesto dal governo per ottenere la rapida approvazione del decreto “proroghe parlamentari” (l’ex “milleproroghe” del governo Berlusconi)  e del decreto sullo "spacchettamento" dei ministeri.
Urgenza dovuta – ci è stato spiegato – dalle numerose tornate elettorali che hanno impedito il normale svolgimento delle sedute parlamentari.
Grida preventive al golpe (sic) da parte della destra , invocazione dell’intervento del Capo dello Stato.

Fatto:
in Senato da destra succede il finimondo, con grida scomposte, insulti e assalto ai banchi del governo, col senatore Malan (Forza Italia) espulso dall´aula dopo aver lanciato un volume del regolamento (541 pagine ndr) contro il presidente Marini.
«Veramente è caduto ben prima del banco della presidenza – ha precisato con dubbia ironia Malan  -diciamo che "jo fatto er cucchiaio"».
Il giovane forzista dal capello biondo e dal volto diafano è rimasto poi asserragliato tutto il pomeriggio fra i banchi dietro un muro di colleghi azzurri occupando illegalmente l‘aula, impedendo i lavori, trasgredendo il regolamento e contravvenendo ad una disposizione del Presidente. 
“Malan è stato espulso dall'aula, dopo aver ricevuto due ammonimenti, per aver lanciato un regolamento del Senato verso la presidenza dove sedeva Franco Marini” (Ansa).

Breve considerazione (dopo anni di piagnistei per una sinistra che “non ci lascia lavorare e fa  una opposizione non costruttiva”):
“Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo: ma non ho almeno in questo primo tempo, voluto.” (Benito Mussolini, discorso alla Camera del 16.11.1922)

Mi pare che siamo già - ahimè - sulla buona strada…

Chiosa: “Sentinella, quanto manca della notte?”

Chiosa meno elegante (e chiedo scusa): ma quanto cazzo dobbiamo sopportare ancora questi atteggiamenti (alla Camera è già iniziato l’ostruzionismo) di disprezzo di regole e della democrazia (anche catodica) da parte di chi non ha ancora digerito la sconfitta (hanno parlato di brogli al referendum prima ancora che cominciasse lo spoglio delle schede…), di chi “era abituato a decidere persino quale ragazza dovesse andare alla Rai, e dopo quali prove di talento”?

postato da carnesalli | 09:40 | commenti (9)
politica, legalita, democrazia

lunedì, giugno 26, 2006
 
“Non azzardiamoci
ad addormentarci.
La notte continua”
(S.Lec)

Astri a favore, ultimamente.

Il popolo italiano (si proprio lui…) ha trovato l’energia per respingere l’attacco alla Costituzione vigente sferrato da questa destra e di votare No al referendum confermativo (e non ci vengano a dire che al nord i sì hanno vinto dello 0,2%: nel mio quartiere i no sono stati più dei sì e addirittura sul mio pianerottolo i no sono al 100%: ci abito solo io e la mia famiglia…).
Nell’epoca della globalizzazione, credo che sia opportuno (o anche solo decente) parlare almeno di Italia, se non di Europa…

Ha respinto cioè quella sottospecie di brutta copia di controfigura di riforma costituzionale (in realtà controriforma di carattere autoritario) preparata dai quattro saggi della polenta taragna.
Disse Piero Calamandrei: “Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione".
 E disse Giuseppe Dossetti: “Insomma, voglio dire che nel 1946 certi eventi di proporzioni immani erano ancora troppo presenti alla coscienza esperienziale per non vincere, almeno in sensibile misura, sulle concezioni di parte e le esplicitazioni, anche quelle cruente, delle ideologie contrapposte e per non spingere, in qualche modo, tutti a cercare, in fondo, al di la di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune, moderato ed equo.  Perciò la Costituzione italiana del 1948, si può ben dire nata da questo crogiolo ardente e universale, più che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo; più che dal confronto/scontro di tre ideologie datate, essa porta l'impronta di uno spirito universale e, in un certo modo, trans-temporale.”
Il primo: partigiano, laico, azionista.

Il secondo: partigiano, cattolico. Che ha concluso la sua vita da monaco.

Prova provata che l’Ulivo non è una elettoralistica invenzione estemporanea, ma ha radici profonde e salde.
E largamente condivise.

Devo molto a Giuseppe Dossetti.

Quando recentemente profeticamente ci ammoniva dello sbandamento della politica e delle sue cause profonde, dovuto certo agli scandali finanziari e alle collusioni tra mafia e potere politico, ma soprattutto all’incapacità di pensare politicamente, alla mancanza di grandi punti di riferimento e all’esaurimento intrinseco di tutta una cultura politica e di un’etica conseguente.

Quando criticamente e lucidamente ci faceva notare il vuoto ideale, e conseguentemente etico, che si tenta di compensare con la ricerca spasmodica della ricchezza, elevata a scopo per se stessa, così che alla inappetenza diffusa di valori che realmente possono liberare e pienificare l’uomo, corrispondono appetiti crescenti di cose che sempre più lo materializzano, lo cosificano e lo rendono schiavo.
Questa era – diceva – la “notte delle persone”.

E in questa solitudine che ciascuno regala a se stesso, si perde il senso del con-essere: e la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole (da qui la fatale progressione localistica) sino alla riduzione al singolo individuo.
Questa era - così la definiva - la “notte della comunità”. 

Da qui partiva – assieme a molti altri – la sua difesa appassionata della Costituzione dei suoi ultimi anni di vita, e ai suoi valori, che sono anche i nostri.

Per questo è stato importante questo voto: perché contro la notte delle persone e della comunità, contro gli egoismi e i localismi, contro le tentazioni e le scorciatoie autoritarie.

Per riscoprire i valori di una Costituzione (cioè di una rinsaldata ragione di stare assieme) condivisa e solidale.

Parola quanto tanto dimenticata e vilipesa, quanto attuale.
Un contro quindi che è innanzitutto un per.

E lo ricordo infine quando ci chiedeva – una sorta di ammonimento a non distrarsi neanche un po’ – citando il profeta Isaia: “Sentinella, quanto resta della notte?”

Caro Peppino – come ti chiamavano durante gli anni del Concilio – non so se mi riesci ad ascoltare; non so davvero, credimi, quanto manca della notte.

Quello che so è che – anche per merito di persone come te – oggi l’alba è più vicina.

postato da carnesalli | 16:49 | commenti (8)
politica, memoria, persone, omelie, democrazia

giovedì, giugno 22, 2006
 
Referendum Costituzione / 6


Volete distruggere la Costituzione? Si?

Io, NO!



Alcune tra le migliori “intelligenze” di questo paese (preferisco questa dizione a quella che - tra l’altro - si vorrebbe introdurre nella “nuova” costituzione di “nazione”.
La degenerazione del concetto di “nazione” ha prodotto il nazionalismo con tutti i danni che sappiamo.
L’unica cosa che mi viene in mente a proposito di “paese” - a parte il significato più cordiale e fraterno del termine - è “strapaese” e la secchia rapita…), alcune tra le migliori intelligenze, dicevo, hanno redatto e sottoscritto questo appello per la difesa della Costituzione.
Con tutta la modestia del caso – certo non mi sento tra le migliori intelligenze di questo Paese, anzi appartengo alla affollata categoria degli “indegni coglioni” – mi sento di farlo mio.

Pertanto invito i pochi viandanti di questo blog:

1)      ad andare a votare (per senso civico - di cittadini, e non di sudditi, come eravamo considerati prima di questa nostra Costituzione - e di libertà);
2)      a votare anch’essi NO, come me e come loro;
3)      a far votare amici, parenti, conoscenti e passanti;
4)      possibilmente a convincerli a votare NO.


APPELLO DEGLI INTELLETTUALI
PER LA DIFESA DELLA COSTITUZIONE

Noi siamo vivamente preoccupati per la proposta di modifica della Costituzione all’esame del
Parlamento, che riteniamo rappresentare una grave minaccia per la nostra democrazia.
Una costituzione democratica ha due principali obiettivi: limitare il potere politico, e garantire
ai cittadini una serie di diritti fondamentali. Sin dagli albori del costituzionalismo moderno il primo
obiettivo è stato garantito dalla separazione dei poteri. Ciò vale sia per i sistemi presidenziali che
per i sistemi di governo parlamentare: in entrambi il potere legislativo fa da contrappeso al potere
esecutivo, e in entrambi è garantita l’indipendenza del potere giudiziario.
 In qualsiasi sistema democratico, infine, il principio di eguaglianza fa sì che ogni cittadino goda degli stessi diritti quale che sia la sua razza, religione, sesso, e – nei sistemi federali – regione di appartenenza.
Questi principi, fondamento di ogni buona costituzione, sono oggi a rischio in Italia.
La  riforma riscrive 43 articoli della nostra Carta. È di fatto una nuova Costituzione.
Ma non è una buona Costituzione. Essa, infatti, delinea una forma di  governo unica al mondo, lontana da quella delle altre democrazie europee e occidentali, basata sulla dittatura elettiva di un uomo solo e sull’esautoramento del Parlamento che può essere sciolto a piacimento del Premier. Non vi sono contrappesi a questo eccessivo potere perché la proposta sminuisce il ruolo delle grandi istituzioni di garanzia: il Presidente della Repubblica viene privato di qualsiasi effettivo potere e relegato in un ruolo cerimoniale; e nella Corte Costituzionale aumentano i giudici di nomina politica. Anche alcuni fondamentali diritti, da lungo tempo acquisiti, sono oggi in pericolo: con la devolution, e il conseguente aggravarsi delle differenze tra Regioni ricche e Regioni povere, la riforma mette a rischio l’universalità e l’eguaglianza dei diritti in settori fondamentali per il benessere dei cittadini quali la sanità, l’istruzione, la sicurezza, e la cultura.

La Costituzione del 1948 può essere migliorata, ma senza alterare l’equilibrio tra poteri e senza rinunciare alle garanzie offerte dalla Corte Costituzionale e dalla Presidenza della Repubblica così come oggi configurate. E soprattutto senza consegnare tutto il potere nelle mani di un Primo Ministro onnipotente, sottoposto ogni cinque anni al voto popolare, ma nel frattempo padrone assoluto di tutte le istituzioni senza alcun reale contrappeso. Noi non vogliamo un simile regime plebiscitario, ma una democrazia ove il controllo dei cittadini avvenga ogni giorno attraverso una libera informazione, una Magistratura indipendente, un’efficace opposizione in un Parlamento non svuotato delle sue storiche funzioni.
Vogliamo che le riforme costituzionali siano frutto di un ampio dibattito, e non imposte a colpi di
maggioranza da chi rappresenta al massimo la metà degli elettori e che così facendo darebbe alla
nuova Costituzione una base di legittimità debole e precaria. Noi non vogliamo una Costituzione di
parte, ma una Costituzione che, come quella del 1948, possa essere largamente condivisa dagli
Italiani.

Hanno sottoscritto tra gli altri:
Claudio Abbado,
Maurizio Pollini,
Salvatore Accardo,
Enzo Biagi,
Inge Feltrinelli,
Luca Formenton,
Rita Levi Montalcini,
Mario Luzi,
Renzo Piano,
Luca Ronconi,
Guido Rossi,
Claudio Magris,
Vittorio Gregotti,
Mario Pirani,
Umberto Eco,
Umberto Veronesi,
Gae Aulenti,
Rosellina Archinto,
Dacia Maraini
Francesco Micheli,
Giovanni Bazoli,
….
postato da carnesalli | 13:49 | commenti (5)
politica, memoria, idee, democrazia, controcanto

mercoledì, giugno 21, 2006
 
Referendum Costituzione /  5

Permettetemi una piccola digressione (ma non tanto, in fondo, visto chi ha scritto - sic - la nuova Costituzione): ma sono di parte, sostiene qualcuno...
A parte il verminaio che sta emergendo a poco a poco – ma comunque abbastanza velocemente; è infatti un piovere Sottile Sottile, ma Fitto Fitto di scandali, corruzioni, truffe, particolari (diciamo così, elegantemente) prestazioni sessuali alla Farnesina, rapporti privilegiati di “alcuni” partiti con la mafia (sempre quelli, ma và…) e altre amenità consimili: possiamo ben dirlo, è un casino!; a parte ciò, qualcuno mi sa spiegare perché  via quel simpatico signore con tacchi, cerone e chirurgo plastico al seguito (e poi criticano Vladimir Luxuria) abbiamo cominciato a fare affari consistenti con l’amico Putin?

Due altri contributi alla “riflessione elettorale”:

Uccidono l’Italia unita
di Agazio Loiero

Si approva la devolution ed è il trionfo dell’egoismo, il colpo di spugna all’Italia del primo e del secondo Risorgimento, la ratifica di quell’oscuro e segreto patto tra Berlusconi e Bossi che cena dopo cena - consumata ad Arcore rigorosamente di lunedì - ha retto bene in questi anni.
Anche Fini, che, insieme a Follini, soffriva quelle “feste de noantri”, dopo una lunghissima meditazione, ha deciso qualche giorno fa di convertirsi alla corte di Gemonio. «Un atto dovuto», ha commentato in forma criptica. Non si capisce se all’unità nazionale o alle sue ambizioni di diventare premier.
Si approva un testo costituzionale che stravolge i principi fondanti dell’unità del Paese.
Quei principi - solidarietà e uguaglianza - contenuti nella prima parte della Costituzione che erano apparsi fino ad oggi intangibili.
Un giorno amaro, dunque, dovuto più agli algidi numeri della democrazia che al sentimento vero della maggioranza dell’Aula, giocati peraltro in coda alla legislatura quando la mente dei parlamentari è volta alle insidie della ricandidatura. Sono certo che, attraverso lo strumento del referendum, saranno gli italiani a cancellare questa parentesi buia della nostra vita associata. Perché, come ha ricordato un paio di anni fa Leopoldo Elia a Milano, costretto a diventare, su questo tema, all'improvviso rivoluzionario, «il Parlamento è solo la penultima istanza. L'ultima è rappresentata dal voto dei cittadini». C'è poi da rilevare un fatto curioso.
… Le paure, gli umori degli italiani sono quello che sono. Difficile immaginare che i meridionali, anche quelli che votano Berlusconi, comprerebbero una macchina usata da Bossi o da Calderoli. D'altra parte, un giornale autorevole come Il Corriere della Sera, che esce a Milano, nel cuore dell'immaginaria Padania leghista, ha bene interpretato il sentimento di unità nazionale se è arrivato, all'epoca della seconda lettura, a titolare in prima pagina: «La Patria perduta». Una frase breve, malinconica che evoca memorie risorgimentali e che comunque non compariva su quel giornale probabilmente dai tempi della disfatta di Caporetto. La verità è che con la devolution - venga o non venga approvata dagli elettori - muore un modo d'essere degli italiani e muore l'idea stessa di unità nazionale per la quale si sono battute lungo l'arco dei secoli generazioni di italiani. La conseguenza più grave è infatti di ordine psicologico. Essa inciderà profondamente nel modello di convivenza civile del nostro paese. Alcuni capisaldi della nostra cultura costituzionale, con cui siamo convissuti, saranno comunque spazzati via dalla nostra vita, persino dal nostro linguaggio. E sarà sancita ufficialmente l'esistenza di tanti territori a diverse velocità. Di quell'Italia unita sognata nel tempo da Dante a Manzoni, molto prima del 1861, non resterà più nulla. Neanche il ricordo. Quella lettera che campeggia nello studio di Ciampi al Quirinale, in cui si proclama l'Italia unita, libera e indipendente, spedita da Cavour a D'Azeglio, circa 150 anni fa, dovrà essere strappata in fretta perché ormai priva di senso.

Andrea Manzella:
… questa impresa contro la Costituzione ha già prodotto importanti effetti di danno.
Ha, innanzitutto, svelato la insopportabile fragilità delle garanzie procedurali a difesa della Costituzione. Ha dimostrato che a nulla vale la barriera della "rigidità" costituzionale: se poi, la forzatura dei regolamenti parlamentari consente alla maggioranza di degradare i tempi e di eliminare il contraddittorio (naturalmente il contraddittorio vero: quello che è utile quando la decisione non è stata già scritta).
Ha poi dato l´immagine di un Paese a geometria variabile, "al pongo". Quello in cui forma di Stato (il rapporto tra Stato centrale e autonomie territoriali) e forma di governo (il rapporto tra governo e parlamento) sono declassate ad oggetto di politiche del giorno per giorno. Si è annullata ogni differenza tra l´indirizzo politico di legislatura (quello che obbedisce alle necessità dei tempi e delle variabili maggioranze) e il quadro istituzionale. E´ diventato cioè mutevole anche quello che dovrebbe essere il perimetro consensuale entro cui fluisce la vita della Repubblica, il costante punto di riferimento degli apparati pubblici e anche la carta di identità della fisionomia italiana dentro l´Unione europea. Di tutte le crisi che attraversa il Paese, questa, provocata da un lifting costituzionale ad immagine di maggioranza, è la peggiore: per le incertezze permanenti che provoca, per il precariato istituzionale che determina.
Si sono messi in discussione, soprattutto, i legamenti dell’unità nazionale. Intesa non come la generica formula introdotta nella Carta: ma come espressione di concreti (e giustiziabili davanti alla Corte costituzionale) vincoli di solidarietà fiscale e di coesione territoriale. Basta vedere gli effetti di annuncio già provocati dalla norma del progetto che incoraggia il separatismo territoriale unilaterale. I 43 comuni che vogliono staccarsi dal Veneto e il Veneto che vuole uscire da se stesso.... Basta vedere il compiacimento con cui sono state accolte le rivendicazioni di assolutismo fiscale della Sicilia e della Sardegna, per capire che quel modello, già difficile a giustificare per speciali esigenze, è sfruttato come forma di tendenza per un separatismo tributario generalizzato. Può essere, insomma, che il disegno secessionista non sia più "dichiarato", ma certo ha trovato una sicura e sostanziosa nicchia nell’ambiente anti-nazionale che accompagna l’approvazione di questo progetto.
Sono perfino risuonate in Parlamento irresponsabili teorie revisionistiche non di questo o quell’istituto, cosa del tutto legittima, ma dello spirito, della cultura istituzionale, dello stesso patriottismo costituzionale che animavano i Costituenti del 1948. Come se gli americani rinnegassero lo spirito della Convention del 1787 che dette vita alla Costituzione degli Stati Uniti, come se i francesi rifiutassero lo spirito che animò nel 1789 l´Assemblea Nazionale nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino...
Non basterà allora il referendum a cancellare questi veleni, questi effetti di danno già emergenti nel Paese.

postato da carnesalli | 08:43 | commenti (3)
politica, legalita, idee, democrazia, controcanto

lunedì, giugno 19, 2006
 
Referendum Costituzione / 4

Narducci (a proposito di Giuliana Sgrena Sgrena): “quella lì è una merda. Comunista di merda quella lì…”
Vittorio Emanuele: “le televisioni l‘hanno distrutta! Le televisioni di Berlusconi e il TG2 (diretto da Mazza, di An, ndr)”
N. “mi fa ridere, mi fa ridere Emilio Fede che ha detto che lei guardava dal finestrino e contava le pallottole che sparavamo gli americani (ride)”

Sottile (portavoce di Fini, quello che riceveva le donnine alla Farnesina, sì quello, a proposito di una trasmissione a cui quest’ultimo deve partecipare): ”Come è strutturata la trasmissione?”
Vespa (Bruno) “ Dipende da voi. Gliela confezioniamo su misura”

(dalle intercettazioni telefoniche della Procura di Potenza.
E per carità di patria (e buon gusto) tralasciamo il resto”

Grazie a Dio sessant’ani fa ha vinto la Repubblica.
E sessanta giorni fa ha perso Berlusconi.

Vediamo con serietà di andare a fare quel poco di informazione che possiamo.

 Intervista a Leopoldo Elia, presidente emerito della Consulta, è uno dei maggiori costituzionalisti italiani
È squilibrata e senza contrappesi

«Quel testo ha squilibri, viola il principio di garanzia, è privo di freni e contrappesi tra le istituzioni. Non trova riscontro in nessuna Costituzione, non dico di democrazia parlamentare, ma nemmeno di democrazia tout court, Usa compresi».

Squilibrata e priva di contrappesi. Ma risponde a una qualche logica?
«Sì, a una logica molto pericolosa. Io non dico che la riforma non funzioni. Dico che non è coerente con i principi del costituzionalismo democratico dei paesi più democratici del mondo. Ripeto: una logica molto pericolosa».

Un giudizio molto netto.
«Le costituzioni che si ispirano a Locke, Montesquieu e ai grandi teorici della liberaldemocrazia si basano sul principio della limitazione del potere. Noi invece accentriamo tutto il potere nella figura del primo ministro affidandogli un ventaglio di possibili interventi che non ha riscontro da nessuna parte. Il Premier avrà poteri tanto vasti ed ampi da diventare intoccabile per cinque anni. Una volta insediatosi potrà esercitare un potere senza freni e senza limiti. Ci sarà poi un presidente della Repubblica eletto a maggioranza assoluta dalle Camere e una Corte costituzionale nominata da questo presidente di maggioranza. Insomma, un potere senza limiti che nel suo esercizio potrà divenire anche tirannico».

Quindi, dalla limitazione del potere a garanzia di cittadini, gruppi sociali e collettività alla blindatura del premier?
Assolutamente sì. In Usa o in Svizzera si affida a un uomo solo per un certo periodo un potere di cui non è responsabile di fronte alle Camere. Ma quando si sceglie questa via al Premier viene tolto, invece di darglielo, il potere di sciogliere le Camere. Se non fosse così non si riuscirebbe a capire perché un presidente Usa, che pure è tanto potente, può non riuscire a fare approvare la sua riforma della sanità, com'è accaduto a Clinton».

La CdL insiste: siamo nel pieno della tradizione europea del westminster.
«Purtroppo, è un falso clamoroso. Confondere il westminster, la forma inglese o tedesca di governo, con quello che propongono significa abusare della credulità dei nostri concittadini. Alcuni giuristi, con una certa faciloneria, hanno detto che il Premier inglese può sciogliere le Camere quando vuole. Ma si sono dimenticati di aggiungere che se il Premier inglese non ha più la maggioranza nel suo partito deve farsi le valigie e non può sciogliere le Camere. Come accadde alla Tatcher».

A proposito del dibattito parallelo sull'Italia che si spacca o meno con la devolution, qual è la sua opinione?
«Ho un punto di vista confortato da quello dei maggiori sostenitori del regionalismo in Italia, come il professore D'Atena, che è il direttore dell'Istituto di studi Severo Giannini sulle autonomie locali: non è vero che con questa riforma si sia disinnescato il pericolo di possibili dissoluzioni dell'unità e del nostro ordinamento».

Il principio dell'interesse nazionale sbandierato da An e Udc è insufficiente?
«Quando si afferma contemporaneamente che la sanità e il diritto all'istruzione rientrano per intero nella competenza esclusiva dello Stato e insieme che l'organizzazione scolastica e sanitaria rientrano per intero nella competenza esclusiva delle Regioni tutto dipenderà dalla interpretazione che si darà a questa esclusività. Con una maggioranza condizionata dalla Lega si darà una interpretazione debole dell'esclusività dello Stato e fortissima di quella delle Regioni. In questo caso, il Governo non impugnerà le leggi di fronte alla Corte Costituzionale. Se invece prevarrà una coalizione senza condizionamenti della Lega, le Regioni che tenteranno di sgarrare potranno essere fermate».

Nella migliore delle ipotesi un conflitto lacerante tra Stato e Regioni?
«Non c'è dubbio. E nella peggiore: leggi regionali senza l'opposizione del Governo e quindi una differenziazione sempre più forte tra le condizioni di vita nelle diverse regioni italiane».

Differenze crescenti possono innescare processi di rottura?
«È un rischio forte. Se non si realizza il principio di una uguaglianza vera all'interno di una stessa nazione, c'è il rischio di sommovimenti e rotture. E proprio quando l'Italia ha bisogno del massimo di coesione per reggere l'urto della globalizzazione. Per fortuna il referendum è ancora un cardine della Costituzione italiana. E' indispensabile e necessarissimo per non uscire fuori dall'Europa e dalla sue tradizioni democratiche».

 
postato da carnesalli | 08:32 | commenti (6)
politica, societa, democrazia

giovedì, giugno 15, 2006
 
Referendum Costituzione / 3

Come cambierebbe la Costituzione se vincessero i si

CAMERA DEI DEPUTATI: La Camera sarà l'organo politico e sarà costituito da 518 deputati (oggi sono 630), di cui 18 eletti nelle circoscrizioni estere, oltre ai deputati a vita, nominati dal capo dello Stato, che potranno essere al massimo tre. Di diritto gli ex presidenti della Repubblica. L'età minima per essere eletti scende a 21 anni (adesso è 25). La Camera è eletta per cinque anni. Le Commissioni d'inchiesta istituite dalla Camera avranno gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria; la loro presidenza sarà assegnata all'opposizione.

SENATO FEDERALE: I senatori saranno 252 (oggi sono 315), eletti in ciascuna Regione insieme all'elezione dei rispettivi consigli regionali. A questo numero si sommeranno i 42 delegati delle Regioni, che partecipano ai lavori del Senato federale senza diritto di voto: due rappresentanti per ogni regione più due per le Province autonome di Trento e Bolzano. Sarà eleggibile chi ha 25 anni (oggi 40 anni). Con la proroga dei Consigli regionali e delle province autonome sono prorogati anche i senatori in carica.

CAPO DELLO STATO: Il presidente della Repubblica non è più il rappresentante dell'unità nazionale, ma «rappresenta la Nazione ed è garante della Costituzione e dell'unità federale della Repubblica». Sarà eletto dall'Assemblea della Repubblica, presieduta dal presidente della Camera dei deputati e composta da tutti i parlamentari, i governatori e i delegati regionali. Può diventare presidente della Repubblica chi ha compiuto 40 anni (oggi 50). Il capo dello Stato è eletto a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei componenti l'Assemblea della Repubblica. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti. Dopo il quinto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Il capo dello Stato indice le elezioni della Camera e quelle dei senatori. Nomina i presidenti delle Autorità indipendenti, il presidente del Cnel e il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm) nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere.

PREMIERATO: Non c'è più il presidente del Consiglio, ma il Primo ministro. Nomina e revoca i ministri (adesso spetta al capo dello Stato, su proposta del premier), determina (e non più «dirige») la politica generale del governo e dirigerà l'attività dei ministri. Il Primo ministro non dovrà più ottenere la fiducia dalla Camera, ma dovrà soltanto illustrare il suo programma sul quale la Camera dei deputati esprimerà un voto. Inoltre potrà porre la questione di fiducia e chiedere che la Camera si esprima «con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del governo». In caso di bocciatura deve dimettersi. Il Primo ministro viene eletto mediante collegamento con i candidati ovvero con una o più liste di candidati, norma che consente l'adattamento sia al sistema maggioritario che a quello proporzionale.

NORMA ANTI-RIBALTONE E SFIDUCIA COSTRUTTIVA: In qualsiasi momento la Camera potrà obbligare il Primo ministro alle dimissioni, con l'approvazione di una mozione di sfiducia firmata almeno da un quinto dei componenti (ora è un decimo). Nel caso di approvazione, il Primo ministro si dimette e il presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera. Il Primo ministro si dimette anche se la mozione di sfiducia è stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. Garante di questa maggioranza sarà il presidente della Repubblica, che richiederà le dimissioni del Primo ministro anche nel caso in cui per il voto favorevole a una questione di fiducia posta dal Primo ministro sia stata determinante una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne. Entra in Costituzione anche la mozione di sfiducia costruttiva: i deputati appartenenti alla maggioranza uscita dalle urne, infatti, possono presentare una mozione di sfiducia con la designazione di un nuovo Primo ministro. In tal caso il premier in carica si dimette e il capo dello Stato nomina il Primo ministro designato nella mozione.

DEVOLUTION: Le Regioni avranno potestà legislativa esclusiva su alcune materie come assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; polizia amministrativa regionale e locale. Tornano a essere di competenza dello Stato la tutela della salute, le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia, l'ordinamento di Roma; la promozione internazionale del made in Italy.

INTERESSE NAZIONALE E CLAUSOLA DI SUPREMAZIA: L'interesse nazionale prevede che il governo, qualora ritenga che una legge regionale pregiudichi l'interesse nazionale della Repubblica, invita la Regione a rimuovere le disposizioni pregiudizievoli. Se entro 15 giorni il Consiglio regionale non rimuove la causa del pregiudizio, il governo entro altri 15 giorni sottopone la questione al Parlamento in seduta comune che con maggioranza assoluta può annullare la legge. Il presidente della Repubblica entro i successivi 10 giorni, emana il decreto di annullamento. La clausola di supremazia, invece, prevede che lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o economica o i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali.

ITER LEGISLATIVO: La Camera esamina i disegni di legge riguardanti le materie che il nuovo articolo 117 affida alla legislazione esclusiva dello Stato. Dopo l'approvazione il Senato federale può proporre modifiche entro trenta giorni sulle quali sarà comunque la Camera a decidere in via definitiva. All'Assemblea di Palazzo Madama spetterà l'esame e la parola definitiva, invece, sui provvedimenti riguardanti le materie concorrenti. Le questioni di competenza tra le due Camere sono risolte dai presidenti delle Camere o da un comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai rispettivi presidenti. La decisione dei presidenti o del comitato non è sindacabile in alcuna sede. Per alcune materie comunque resta il procedimento bicamerale. In caso di disaccordo tra le due Camere, il testo sarà proposto da una commissione, composta da trenta deputati e da trenta senatori, convocata dai presidenti delle Camere, e sottoposto al voto finale delle Assemblee.

CLAUSOLA DI ESSENZIALITÀ: Se il governo ritiene che proprie modifiche a un disegno di legge, sottoposto all'esame del Senato, siano essenziali per l'attuazione del suo programma approvato dalla Camera, il presidente della Repubblica, verificati i presupposti costituzionali, può autorizzare il Primo ministro a esporne le motivazioni al Senato federale che decide entro trenta giorni. Se tali modifiche non sono accolte dal Senato, il disegno di legge è trasmesso alla Camera dei deputati che decide in via definitiva a maggioranza assoluta dei suoi componenti sulle modifiche proposte. I disegni di legge del governo avranno comunque una via preferenziale nel calendario dei lavori delle Camere. Se l'esecutivo lo richiede, verranno iscritti all'ordine del giorno e votati entro tempi certi.

PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ: La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, che esercitano le loro funzioni secondo i principi di leale collaborazione e sussidiarietà.

ROMA CAPITALE: Roma è la capitale della Repubblica e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabiliti nello Statuto della regione Lazio.

FEDERALISMO FISCALE: Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge di riforma costituzionale sarà assicurata l'attuazione del federalismo fiscale. Sono fissati dei limiti per cui in nessun caso l'attribuzione dell'autonomia impositiva alle Regioni, alle Province, alle città metropolitane e ai Comuni può determinare un incremento della pressione fiscale complessiva. Inoltre, viene inserito il concetto di sussidiarietà fiscale: il cittadino su alcune spese come a esempio quelle di mantenimento dei figli, invece di pagare le tasse per richiedere poi il rimborso a livello regionale, può detrarle direttamente dalla dichiarazione dei redditi.

CORTE COSTITUZIONALE: Aumentano i giudici di nomina parlamentare nella Corte Costituzionale. La Consulta sarà composta da 15 giudici: quattro nominati dal presidente della Repubblica, quattro dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative; tre giudici sono nominati dalla Camera dei deputati e quattro dal Senato federale della Repubblica integrato dai governatori. È previsto che, concluso il mandato, nei successivi tre anni non si possano ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge.

CSM: I componenti del Csm, oltre a quelli eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, sono eletti per un sesto dalla Camera dei deputati e per un sesto dal Senato federale della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio. La Costituzione attualmente, invece, prevede che siano eletti per un terzo dal Parlamento in seduta comune. Il presidente della Repubblica nomina il vice presidente del Csm nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere.

ENTRATA IN VIGORE: La nuova Costituzione entrerà in vigore in tempi diversi. Devolution, interesse nazionale e clausola di supremazia saranno effettivi subito con l'entrata in vigore della riforma, mentre per il resto dipenderà da quando si terrà il referendum confermativo. Se questo sarà fatto prima delle prossime elezioni politiche, le norme entreranno in vigore dalla nuova legislatura, però il Senato federale sarà effettivo nella sua composizione solo dal 2011. Invece, se il referendum si terrà dopo le elezioni politiche del 2006, la riforma entrerà in vigore nel 2011 e il Senato federale sarà effettivo solo dal 2016.

Alcune riflessioni: 
Salvo questa "condizione risolutiva" che sta nelle mani del popolo sovrano (il referendum)  l’Italia potenzialmente cesserà di essere una Repubblica parlamentare di democrazia rappresentativa, per essere ridisegnata nelle forme di un regime del   Primo Ministro, come i costituzionalisti fascisti definivano il regime instaurato da Mussolini a partire dal 1924. Il Parlamento sarà espropriato dei suoi poteri, essendo reciso il rapporto di fiducia da cui oggi dipende la legittimità del governo, e sarà privato della sua funzione rappresentativa, che sarà tutta concentrata nel Primo Ministro che da solo dovrà in se stesso mediare ed esprimere l'intero pluralismo sociale.
L'ideologia è quella dell'investitura elettorale che, senza il filtro della scelta del Presidente della Repubblica (ridotto a un ruolo liturgico) e della fiducia parlamentare, direttamente abilita il Primo Ministro a governare e ne garantisce l'inamovibilità. Ma il mandato popolare, enfatizzato per quanto riguarda il Primo Ministro, non conta nulla per i parlamentari, che in ogni momento egli può mandare a casa, sciogliendo la Camera, sotto la sua "esclusiva responsabilità", quando essa non goda più la sua fiducia o per qualsiasi altro motivo di utilità politica. E quando fosse la maggioranza a non avere più fiducia nel suo Primo Ministro, non potrebbe mandare a casa lui senza andare a casa anche lei, con tutta la Camera che sarebbe automaticamente sciolta, salvo che la stessa maggioranza tutta intera e senza ribaltoni per infiltrazioni del  nemico, riuscisse a nominarne un altro.
Il Parlamento subisce una doppia disintegrazione. La prima sta nella divisione tra Senato e Camera, avviati verso due destini istituzionali diversi; il Senato perde la sua funzione politica e legislativa generale, non si occupa del governo ma delle regioni, e deve muoversi in un groviglio di competenze così complicato, tra Stato e regioni, tra Camera e Senato, commissioni bicamerali e
comitati paritetici, col solito Primo Ministro che gli può togliere una legge in esame e passarla alla Camera, che sarà impossibile uscirne, così che ben più che dirsi Senato "federale", dovrebbe chiamarsi Senato degli “sfasci”.
La seconda disintegrazione avviene all'interno della Camera, per la divisione anche istituzionale tra maggioranza e opposizione, che vengono a costituire due corpi o corporazioni separati, con diversi statuti e diversi poteri, che vengono distinti perfino nel nome, che per la maggioranza e il governo vengono definiti come "prerogative", e per le opposizioni "diritti"; ma tali diritti si riducono sostanzialmente a un diritto di tribuna, parlare ma non contare, come quegli invasati che liberamente possono parlare allo "speaker's corner" su una panchina dello Hide Park. Tanto non contano i parlamentari delle opposizioni che, se presi da un raptus di buonismo votassero contro una mozione di sfiducia al governo, il loro voto non sarebbe contato nella formazione della maggioranza della Camera, che dovrebbe essere costituita dai soli deputati della coalizione che ha vinto le elezioni, né tanto meno potrebbero   concorrere alla indicazione di un altro Primo Ministro. A questo punto non c'è alcun bisogno che i deputati delle opposizioni siedano nella stessa aula, perché né gli uffici li contano nel computo dei voti né i deputati della maggioranza hanno alcun motivo ragionevole per starli ad ascoltare. Possono benissimo andarsene a parlare altrove: l'Aventino è istituzionalizzato e sta in Costituzione.
Sicché formata da questi due corpi o "Stati" separati, la Camera ben potrà dirsi la Camera delle corporazioni.
Tutto questo processo di sovvertimento costituzionale si sta svolgendo mesi senza che alcuna notizia ne trapeli sui mezzi di informazione, e quando se ne è fatto cenno si è sempre e semplicemente fatto intendere che si trattasse di una riformetta di Bossi, di devolution e di federalismo.

Usiamo il passa parola.
Informiamoci ed informiamo.
Capire per scegliere.
Scegliere per vivere liberi.

postato da carnesalli | 08:44 | commenti (4)
politica, democrazia

lunedì, giugno 12, 2006
 
Referendum Costituzione / 2
Trovo molto interessante e condivisibile la presa di posizione dell'Azione Cattolica della Diocesi di Milano.
La riporto come conributo alla riflessione e alla discussione.
Pronunciamento della Presidenza diocesana
dell’Azione cattolica ambrosiana
VOTARE PER LA COSTITUZIONE, VOTARE NO



 

Il 25 e 26 giugno alle urne per il referendum confermativo sulla riforma costituzionale nota come “devolution”. Una riforma che appare troppo contrassegnata da una volontà di parte, tanto che essa si presenta a tratti come la semplice giustapposizione e sistemazione delle richieste delle singole forze politiche che componevano l'ex maggioranza. Dove più marcato è l’orientamento riformatore, il risultato appare problematico, se non pericoloso, soprattutto là dove enfatizza la figura del primo ministro, con una concentrazione di poteri non riscontrabile in altri modelli democratici e parlamentari, e con la parallela restrizione delle attribuzioni e del ruolo che spettano agli organismi di controllo e garanzia. Il nostro invito è esplicito: riteniamo opportuno salvaguardare la Costituzione del 1948 attraverso un voto negativo al Referendum. Non perché siamo contrari per principio a qualsiasi riforma della Costituzione stessa, ma perché crediamo che sia opportuno promuoverla attraverso un metodo che preveda intese più ampie rispetto a un voto a maggioranza e pensiamo che l'attuale ipotesi di riforma presenti più lati problematici che positivi.

Il 25 e 26 giugno saremo nuovamente chiamati alle urne per il referendum confermativo sulla riforma costituzionale nota come “devolution”.
E’ subito bene precisare che si tratta di un referendum diverso rispetto a quelli sulla fecondazione assistita della primavera 2005. Quelli, in quanto referendum abrogativi, prevedevano un quorum del 50% degli elettori, mancando il quale (come è accaduto) non sono stati considerati validi.
L'ormai prossimo referendum di giugno è invece un referendum confermativo e non prevede alcun quorum: la consultazione è valida qualunque sia il numero dei votanti, per assurdo anche uno solo. Ogni voto sarà dunque estremamente importante e pesante e l'astensione non potrà, questa volta, configurarsi come una precisa scelta di campo. Da qui il nostro invito a partecipare al voto del 25 e 26 giugno.
Vorremmo ora offrire qualche considerazione sul metodo e sul merito della riforma.
UN METODO DISCUTIBILE. Ci troviamo di fronte a una sostanziale riscrittura della Costituzione del 1948, visto che sono più numerosi gli articoli in qualche modo emendati rispetto a quelli lasciati invariati.
Negli anni '90 ci fu un tentativo di promuovere riforme condivise, attraverso il lavoro della Commissione Bicamerale, che però fallì il suo compito. Nel 2001, alla fine della legislatura che vide al governo il centrosinistra, fu approvata (con una maggioranza esigua e frettolosa) la riforma del titolo V della Costituzione con un metodo che sembrò fin dall'inizio poco rispettoso delle larghe intese che dovrebbero accompagnare la modifica di una legge fondamentale per la collettività come la Carta costituzionale.
Proprio dal metodo giungono le prime perplessità riguardo la devolution: la Costituzione può senz’altro essere adeguata e aggiornata, ma con un sostanziale consenso sociale e politico su obiettivi e regole della convivenza. Non è opportuno che la legge fondamentale dello Stato sia esposta alle controversie della polemica politica o, peggio, che diventi oggetto di cambiamento partigiano ad ogni tornata elettorale.
Anche entrando nel merito della riforma le perplessità non mancano.
IL RAPPORTO STATO REGIONI: UNA DEVOLUTION POCO SOLIDALE? Non è un mistero che intorno alla «devoluzione» alle Regioni delle competenze legislative in alcuni campi si sia condotta una battaglia identitaria senza esclusione di colpi, ma la modifica non è stata radicale.
La riforma attuale si limita ad aggiungere alle materie «esclusivamente regionali» alcuni capitoli, non secondari ma nemmeno rivoluzionari: «a) assistenza e organizzazione sanitaria; b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; d) polizia amministrativa regionale e locale».
A questo bisogna però aggiungere che vengono riconfermate le norme sulla possibilità del governo di sostituirsi alle strutture amministrative locali quando siano in gioco questioni generali di equilibrio finanziario o di rispetto di accordi internazionali.
Si introduce un ulteriore articolo che prevede che il governo possa far abrogare dal Parlamento una legge regionale giudicata in contrasto con «l'interesse nazionale della Repubblica». Insomma, gli spazi delle autonomie locali non sono drasticamente modificati o ampliati rispetto alla riforma targata centrosinistra. Più di qualche dubbio sollevano però le competenze esclusive in materia di sanità e la genericità del riferimento alla parte dei programmi scolastici di interesse regionale.
Il rischio è di avere regioni in grado di garantire servizi di prim'ordine e regioni che faticano a fornire quello di cui il cittadino non solo hanno bisogno, ma anche diritto.
UN BICAMERALISMO PASTICCIATO. Collegata al modesto ampliamento del federalismo è la ristrutturazione del tradizionale bicameralismo perfetto della nostra Costituzione: il Senato viene eletto a suffragio universale, su base regionale, in tempi però concomitanti all’elezione dei rispettivi consigli regionali e avrebbe competenze diverse da quelle della Camera, che resta l’unica Camera «politica» (implicata nella fiducia al governo).
Sarà unicamente la Camera a legiferare sulle materie di esclusiva competenza statale. Esiste però un tipo di leggi, quelle relative alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, oppure la legislazione elettorale locale, su cui Senato e Camera legiferano alla pari.
Ma se non trovano l'accordo su testo entra in campo una terza assemblea «derivata», i cui 60 componenti sono indicati dai presidenti delle due Camere: questa Camera di compensazione avrà il compito di scrivere un testo unificato dal sottoporre al voto di Senato e Camera. Insomma, i processi di formazione delle leggi rischiano di essere farraginosi e complessi, forse più di quanto è già accaduto finora.
Non mancano anche punti positivi, ad esempio il numero di deputati e senatori che scendono rispettivamente da 630 a 500 e da 315 a 252, ma con calma, visto che la norma entrerà in vigore solo nella seconda legislatura dopo l’eventuale approvazione del referendum e dunque non prima del 2011. Positiva anche la norma che prevede di affidare a membri dell’opposizione la presidenza delle commissioni parlamentari di controllo o di inchiesta.
UN PRESIDENZIALISMO STRISCIANTE CHE RISCHIA DI ESAUTORARE IL PARLAMENTO. Il punto più delicato della riforma è però quello relativo al governo e al suo capo, il primo ministro. Questa figura è innanzitutto nuova nel nostro ordinamento costituzionale e risulta fortemente accresciuta nei suoi poteri: sulla base del risultato elettorale il Presidente della Repubblica nomina primo ministro il candidato della coalizione vincente.
La Camera non deve più votare la fiducia, ma si esprime solo con un voto sul programma. Il primo ministro è un vero capo del governo, determina (e non più soltanto «dirige») la politica dell'esecutivo, ha il potere di nomina e revoca dei ministri e di chiedere sempre la fiducia della Camera e la priorità sulle cosiddette leggi di programma.
Il primo ministro può chiedere quando voglia e senza limiti al Presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera. Se egli venisse sfiduciato, invece, la Camera stessa sarebbe sciolta e si andrebbe a nuove elezioni. Questo vincolo indebolisce di molto l’autonomia del parlamento e dei singoli deputati. Si può davvero parlare di «premierato assoluto», come è stato definito da Leopoldo Elia.
LA LIMITAZIONE DEI POTERI DI GARANZIA. Altro punto critico della riforma è quello relativo agli organi di garanzia. Il Presidente della Repubblica esce fortemente ridotto nei suoi poteri, essendo stato espropriato delle funzioni di garanzia della forma parlamentare di governo, con la sottrazione del potere di scioglimento e di quello della nomina del primo ministro.
Altre perplessità sollevano le previsioni per la Corte costituzionale, i cui 15 membri sarebbero molto più politicizzati, in quanto ben 7 di loro sarebbero di nomina politica (4 dal Senato federale e 3 dalla Camera), contro gli attuali 5 su 15.
PERCHÈ VOTARE NO. In conclusione, la riforma che sarà oggetto di referendum alla fine di giugno, appare troppo contrassegnata da una volontà di parte, tanto che essa si presenta a tratti come la semplice giustapposizione e sistemazione delle richieste delle singole forze politiche che componevano l'ex maggioranza.
Dove più marcato è l’orientamento riformatore, il risultato appare problematico, se non pericoloso, soprattutto là dove enfatizza la figura del primo ministro, con una concentrazione di poteri non riscontrabile in altri modelli democratici e parlamentari, e con la parallela restrizione delle attribuzioni e del ruolo che spettano agli organismi di controllo e garanzia.
Il nostro invito è esplicito: riteniamo opportuno salvaguardare la Costituzione del 1948 attraverso un voto negativo al Referendum. Non perché siamo contrari per principio a qualsiasi riforma della Costituzione stessa, ma perché crediamo che sia opportuno promuoverla attraverso un metodo che preveda intese più ampie rispetto a un voto a maggioranza e pensiamo che l'attuale ipotesi di riforma presenti più lati problematici che positivi.
Riteniamo condivisibile l'auspicio di modifiche dell'assetto istituzionale che diano risposte alla domande emergenti degli ultimi anni: regole e diritti democratici sicuri, governabilità in un contesto di rapidi cambiamenti, vicinanza della politica ai cittadini, valorizzazione effettiva di tutte le componenti della società.
Tutto ciò può passare solo attraverso riforme capaci di rinnovare le fondamenta della convivenza democratica, in continuità con i principi fondamentali della Carta costituzionale e a partire da un corretto e continuo confronto democratico e a una mediazione tra le diverse anime civili e sociali del nostro Paese.
Per questo, pur in un sano contesto politico di bipolarismo e accanto ai distinti ruoli di maggioranze ed opposizioni, occorre innanzitutto ristabilire tra tutte le parti il dialogo necessario a riaffermare insieme le ragioni e le fondamenta della democrazia.
Solo così potremo dare, insieme, nuova vitalità alla nostra Costituzione evitando di trasformare il dibattito su di essa in materia di pura e strumentale polemica politica di parte.
La Presidenza dell'Azione cattolica ambrosiana

(dal sito chiesadimilano.it)
 
postato da carnesalli | 08:26 | commenti (4)
politica, idee, democrazia

venerdì, giugno 09, 2006
 
Referendum Costituzione / 1

Credo che il prossimo referendum sulla ri-forma (ma quale forma poi?) costituzionale approvata dal precedente governo abbia molto a che fare con la celebrazione degli appena trascorsi sessant’anni della nostra Repubblica (al di là di sterili polemiche su spillette e oggetti consimili: in pochi ricordano che nei primi anni dopo la guerra il corteo del 2 giugno era aperto dai partigiani subito seguiti da reparti dell’esercito, in una sorta di ideale staffetta) e con le recenti elezioni.

Oggi come allora, credo, c’è un confronto (è troppo definirlo “scontro”?) tra due “idee” di Italia.

Tra un’Italia di una moderna cultura civica repubblicana, basata sui diritti di cittadinanza e di rappresentanza parlamentare.

E un’Italia populista, antipolitica e individualistico - proprietaria, allora intrisa di conservatorismo (o reazione) e nostalgie, oggi dal “miracolismo aziendalista” e dai sogni consumistici (con forti tratti neocon).

Battaglia non banale, ma, come si direbbe in economia, sui “fondamentali”: perché fin da subito la nuova destra uscita dagli anni degli scandali e del maggioritario ha avuto un obbiettivo preciso: rimodellare la Costituzione.

Individuata subito giustamente come patto fondativi di “questa” repubblica e dei valori che la sostengono.

Radendo quindi al suolo e svuotando dall’interno i simboli sostanziali sui quali è stata edificata la Repubblica (mediante il compromesso antifascista uscito dalla Resistenza) nella ricerca di una tanto vagheggiata quanto fumosa “seconda repubblica”.

Ecco allora il legame con il prossimo referendum: occorre col voto rinnovare il senso di un “atto fondativo”, le buone ragioni del nostro “stare assieme”.

Un atto fondativo che richiami idealmente quello di sessant’anni fa, che portò alla Resistenza, alla Liberazione, alla Repubblica, alla Costituente.
Ed infine ad una Costituzione che incorniciò in principi fondamentali e irrinunciabili la nostra buona ragione di “essere” come paese e come popolo.

Ecco il perché di tanto accanimento da parte della destra a voler mutare geneticamente quel patto: con le polemiche sui ragazzi di Salò o quella anti -  antifascista (o al massimo a-fascista)
E con scelte in qualche modo eversive: maggioritario come decisionismo premierale, la facoltà del primo ministro di appellarsi direttamente al popolo, scavalcando un parlamento minacciato di scioglimento; e poi la devolution con l’attacco alla scuola e alla sanità, esposti all’arbitrio privatistico e localistico.

Ecco intanto allora qualche buon motivo per fermare questo processo revisionista.

Andando a votare al referendum, per cominciare. Obbligatoriamente!
E votando NO.
 
postato da carnesalli | 08:07 | commenti (2)
politica, democrazia

giovedì, giugno 01, 2006
 









“E mi sono alzato
e mi sono accorto
che ero stanco
e ho continuato
il mio viaggio”.
(iscrizione sulla lapide di E.Thomas)


Forse il Padreterno era distratto, negli ultimi tempi.
O forse era troppo occupato, come cantava il Poeta.
Ma ieri si è finalmente ricordato che esisto.

Confermo con gioia il contenuto del post precedente.
Dopo 27 (ventisette) anni cambio lavoro per comprovato “sfinimento” (che mi aveva ultimamente creato seri problemi di salute, tra l’altro).
Avreste dovuto vedere la faccia del capo (e della sua sanguinaria concubina), che mi pestava allegramente ogni giorno contando sul fatto che mai e poi mai avrei trovato altro, quando gli ho messo sotto il naso la lettera di dimissioni.
Come sarà non so.
Ma sarà diverso.
E  non è poco.

Nello stesso giorno l’agenzia immobiliare mi ha confermato la mia proposta di acquisto di un nuovo appartamento e quindi cambierò presto anche casa.
Non solo è un “affare” davvero economicamente unico, ma finalmente avremo un pò di “spazio vitale” in più in casa.
E certo non guasta.

Come si legge sui muri dei ponti dell’autostrada: Dio c’è!

E chi non beve con me – direbbe il buon Amedeo Nazzari – peste lo colga!


P.S. si accettano in bocca al lupo, scongiuri e toccatine…
P.P.S. Fatemi riprendere un po’ il fiato.
A tutti: a presto per la campagna per il referendum sulla costituzione.

postato da carnesalli | 08:33 | commenti (20)

Nessun commento:

Posta un commento