ABBECEDARIO A MODO MIO

ABBECEDARIO A MODO MIO


"IL CONTRARIO DELL'AMORE NON E' L'ODIO, MA L'INDIFFERENZA. IL CONTRARIO DELLA VITA NON E' LA MORTE,MA L'INDIFFERENZA QUALSIASI COSA SCEGLIATE, MIEI GIOVANI AMICI, NON SIATE INDIFFERENTI" E.Wiesel

Sono particolarmente sensibile ai problemi sociali e a quelli delle persone più deboli: faccio del mio meglio perché si affermino i diritti di cittadinanza, di libertà, di eguaglianza, di giustizia, del lavoro, allo studio, a essere curati.
Credo in una società aperta, solidale, protesa al futuro, ma un futuro di equità e fratellanza.
Credo che ciò debba essere raggiunto assieme a tutti gli uomini di buona volontà che non hanno una visione egoistica della vita.
Alla domanda posta dai versi di una canzone "...Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?", vorrei che di me si dicesse, parafrasando ancora i versi del medesimo cantautore: "Ha avuto la forza che serve a camminare, ...e comunque la sua parte l'ha potuta garantire".
(Introduzione de "Abbedecedario a modo mio", del sottoscritto, Euzelia edizioni)

lunedì 16 gennaio 2012

DICEMBRE 2006

mercoledì, dicembre 27, 2006
 
Trovo interessanti - e di aiuto al dibattito in corso - queste riflessioni di Antonio Padellaro
Eminenze, Cristo dov´è?

«Ora sta contemplando il volto di Dio, perché Dio è misericordioso»: hanno saputo dire ciò che c´è nel nostro cuore le due suore che parlavano al Tg1, davanti al feretro di Piergiorgio Welby, portato a spalla dai compagni radicali sobillatori di scandali necessari, davanti alla chiesa che il giorno della vigilia della nascita di Gesù ha sprangato le porte della carità e della misericordia. Perché?, ci chiediamo in tanti. In fondo, chi non crede avrà una ragione in più per dissentire, per diffidare, per non rimpiangere l´assenza di una fede così poco consolatoria. Ma chi crede e non capisce deve poter domandare, deve poter insistere, deve poter protestare poiché troppo grande è lo smarrimento che prende e il gelo che assale. Lasciamo da parte le polemiche su laici e cattolici, sulle interferenze delle gerarchie vaticane nella politica italiana. Non chiamiamo in causa ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio perché qui Cesare non c´entra affatto. Qui la potestà, il diritto, la scelta appartengono esclusivamente a coloro che Dio sono chiamati a rappresentare su questa terra. Leggiamo le parole di monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, cappellano della Camera dei deputati e forte personalità della curia. Un vescovo ascoltato e influente, ricco di sapienza, addentro alle cose della politica, dotato di un sorriso paterno che non ammette repliche; e, del resto, un semplice parroco potrebbe mai contraddirlo? Ci spiega dunque monsignore che le esequie cattoliche per Welby non sono state concesse dal vicariato di Roma «con tristezza ma per un atto di responsabilità e di fedeltà al nostro credo».
Sul concetto di fedeltà ai principi costitutivi della fede cattolica l'alto prelato insiste sottolineando come invece Welby abbia mostrato «ostinazione reiterata nel chiedere la propria morte, un'esplicita consapevolezza nel negare i principi fondamentali della fede cristiana riguardanti il valore della vita e il senso della sofferenza». Ecco la colpa.
Fermiamoci un attimo a meditare queste frasi stando bene attenti a non oltrepassare il recinto dottrinario così austeramente innalzato attorno a quella povera bara. Sappiamo che per la Chiesa il principio della difesa della vita fino al suo naturale esaurimento non è in alcun modo trattabile, e ne siamo rispettosi. Così come non sono da discutere i ripetuti ammonimenti di una gerarchia severa nei confronti della religione-fai-da te, visto che il cristianesimo non è un obbligo ma libera scelta di regole non adattabili. Non ci chiederemo, infine, se di eutanasia si sia trattato o non piuttosto di accanimento terapeutico. Essendo materia quanto mai controversa e perché, infine, tutto ciò riguarda quanto accadeva prima che Piergiorgio Welby esalasse l'ultimo respiro. È dopo che toccava alla Chiesa dire una parola definitiva, e quella parola è stata: no, niente funerali religiosi. No, Welby da morto non può più varcare il portone della sua parrocchia, si è messo fuori e fuori deve restare. E' un verdetto durissimo che l'eminente prelato d'accordo, si presume, con le più eminentissime porpore, e con qualcuno ancora più in alto, motiva con un atto di accusa nei confronti di Welby, descritto come un ostinato negatore di principi e di valori fondanti della fede cristiana, tra cui il senso della sofferenza. Non è davvero troppo che da un pulpito (da quel pulpito!) si possa dire: tu non hai saputo soffrire come si deve, rivolgendosi a un uomo, a un morto, che di una sofferenza infinita ha fatto il proprio sudario?
C'è un castigo, dunque, ma da quale violazione scaturisce? Dove sono contenuti quei principi costitutivi della «nostra fede» a cui monsignor Fisichella si riferisce? Nei commi 2277 o 2325 del nuovo catechismo, citati in questi giorni come si fa con le norme del codice della strada? Oppure quei principi per i quali Piergiorgio Welby è stato lasciato laggiù, riscaldato dall'affetto di una folla devota all'umana solidarietà, quei valori sono contenuti nel Vangelo? E quando mai, chiediamo, in un libro colmo di amore, di carità, di misericordia, Cristo se l'è presa con i deboli, i sofferenti, i malati, i moribondi? Lo abbiamo visto scagliarsi contro i mercanti nel Tempio, promettere le pene dell'inferno ai corruttori di bambini, fustigare prepotenti e violenti, ammonire i ricchi e i potenti dalle vesti sontuose. Non ci hanno forse insegnato che l'agnello di Dio è venuto a salvare i peccatori, i reietti, i ladroni e le maddalene? Quanto ai farisei abbiamo l'impressione che gli dessero parecchio sui nervi. E quando mai quel Cristo che disse al pubblicano di non nascondersi in fondo al tempio avrebbe abbandonato Welby al freddo?
Il giorno prima che Welby se ne andasse, Corrado Augias citava su la Repubblica queste parole di don Milani: «Per un prete quale tragedia più grossa potrà mai venire? Essere liberi, avere in mano sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto di essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti. Avere la chiesa vuota». Sappiamo che la Chiesa è anche saggezza. E che sa ammettere i propri errori. È quanto ci auguriamo in questi giorni difficili ma di speranza.

postato da carnesalli | 12:32 | commenti (8)
idee

venerdì, dicembre 22, 2006
 
A continuazione dell'ultimo post....
Buon Natale a tutti!







Un bambino nasce puntuale
ogni anno, nel freddo
di una mangiatoia. Nasce
per ricordarci che ogni anno
muoiono quindici milioni
di bambini per fame. Nasce
per ricordarci tra l’odio e la morte
l’amore per la vita
lo stupore e la gioia del creato
nasce un bambino per ricordarci
di essere uomini, fratelli
in un mondo disumano, spietato.
Nasce un bambino ogni anno
puntuale e innocente
sorride, povero tra i poveri
sorride perché ci aspetta l’eternità
(E.Fiore)

A
chi
ama
dormire
ma si sveglia
sempre di buon
umore. A chi saluta
ancora con un bacio. A
chi lavora molto e si diverte di
più. A chi va in fretta in auto, ma
non suona ai semafori. A chi arriva
in ritardo ma non cerca scuse. A chi spegne
la televisione per fare due chiacchiere. A chi è
felice il doppio quando fa a metà. A chi si alza presto
per aiutare un amico. A chi ha l'entusiasmo di un bambino
ma pensieri da uomo. A chi vede nero solo quando è buio.
A chi non
aspetta
Natale per
essere più
buono...
postato da carnesalli | 10:38 | commenti (3)

martedì, dicembre 19, 2006
 
P – Presepe

Ho voluto di proposito lasciar passare il gracidare che si leva fastidioso ogni volta che qualcuno getta – più o meno volutamente - un sasso nello stagno dell’informazione (qualche volta per attirare l’attenzione, più spesso per deviarla da qualche altra parte).

Con la fastidiosa teoria di polemiche, dibattiti (spesso di aria fritta), crociate, contrapposizioni frontali che ne segue: spesso l’impressione è che se la suonino e se la cantino.

Ikea o no, cultura cristiana o no, secolarizzazione o no… parole in libertà.

Ferma la musica, silenziosi i matre a penser a gettone, propongo queste – secondo me assai intelligenti - riflessioni di Raffaello Ciccone, responsabile dell’Ufficio del Lavoro della Diocesi di Milano, sul “presepe”.

Ma non solo su quello, se lette bene.

Che valgono già da pre - auguri di Natale.

“Ho letto su un quotidiano di questi giorni una notizia riportata su cinque colonne: “Presepe, via le statuine, non si vendono”. E nel negozio della Rinascente di Padova, che ha una grande tradizione commerciale, i commessi, al cliente che le chiedessero, rispondono che non ci sono statuine del presepio poiché è “articolo che non tira”.
Ne è nato un problema, che si allarga a conclusioni “allarmanti”. Ma sotto sotto si legge pure un lamento di delusione.
E’ pur vero che altri negozi, come il commercio equo-solidale, fanno incetta di pezzi originali che vengono dal Messico, dall’Indonesia o dal Perù e vendono con abbondanza. E c’è il problema del non avere tempo e capacità: non si sa più fare artigianati spicciolo (il pezzo unico, che unisce la capanna, la santa famiglia e qualche pastore è più sbrigativo), le abitazioni sono piccole e le statue non si consumano come caramelle, ma resistono molti anni.
Il lamento nasce, come una constatazione: “Sta sparendo la religione cattolica”. D’altra parte, nel Veneto alcune scuole hanno sostituito con Cappuccetto Rosso la recita del Natale qualche anno fa e altre scuole scelsero di non fare il presepio per rispetto agli alunni stranieri di altre confessioni. Eppure Papa Giovanni Paolo II aveva raccomandato il presepe come uno dei più importanti simboli legati alla tradizione popolare.
Vale la pena parlarne poiché forse si può scoprire qualcosa di interessante.
Quando a Natale i sacerdoti benedicono le case, (ancora molti riescono a farlo), trovano qualche presepio in case di anziani o in famiglie dove c’è un bambino. E normalmente c’è quasi una scusa: “Sa, il bambino l’ha voluto”, oppure: “L’abbiamo fatto perché c’è il bambino”. E il sacerdote (altrimenti i genitori si offendono) deve intavolare un dialogo con il bambino magnificando il fondale o la bellezza delle statuine (“erano del nonno, o erano della mia infanzia” dice la mamma), e poi apprezza le immancabili luci che si accendono e spengono e magari l’acqua che scorre nel ruscelletto.
Se però prova a spiegare il senso del presepio, lo guardano inorriditi: ma, mi spiace, bisogna parlare di poveri, di una famiglia che viene scacciata e trova riparo in una stalla (non aggiunge “puzzolente” per rispetto del lindore dei pavimenti, e poi certe cose ai bambini non si dicono); e se vuole andare avanti, ma ormai c’è sospetto, può parlare di Gesù come presenza di Dio tra noi (qui gli occhi degli adulti si perdono e ti immagini uno sbadiglio trattenuto a stento, per educazione).
E poiché le famiglie hanno uno o, al massimo, due figli, l’età del presepio dura pochissimo. Così molti alberi di Natale danno più festa, suggeriscono e promettono con libertà doni da spacchettare, sono un segno che condividono con simpatia adulti e bambini.
Ma è difficile parlare di doni, davanti al presepio. Se Gesù nasce povero e vuole aiutare i poveri, che razza di regali sono i costosissimi prodotti della tecnologia? E poi, nelle famiglie-bene arriva un Gesù bambino che porta doni di lusso e alle famiglie povere il pacchettino, se pur c’è, è un regalino da quattro soldi. Facciamo, senza volerlo, un classismo persino con Gesù.
E invece, a Natale, anche questi bambini, e non solo gli adulti, capirebbero il regalo di Gesù Bambino se solo arrivasse la notizia di un ragionevole affitto di casa o la promessa di costruire sulle aree abbandonate. Sentirebbero finalmente parlare dagli adulti, con entusiasmo, di un Gesù che ci vuole veramente bene, che ha fatto capire le esigenze dei più poveri, che sta dalla loro parte, che non abbandona nessuno.
E’ un gran guaio, allora, che i presepi scompaiano? Certamente no, se il presepio è una fiaba per bambini e Cappuccetto Rosso ha sostituito il Natale in qualche recita di scuola, se l’ignoranza religiosa non sa interpretare l’accoglienza e non sa pregare per l’altro, reciprocamente.
Forse, nella scuola dove non si insegna il rispetto e, molto di più, l’amicizia per chi è nuovo o non italiano o disabile, ci può star bene un presepio?
Dispiace invece che non si valorizzino, in modo corretto, le feste religiose dei componenti la classe, proponendo conoscenza e rispetto per le diverse credenze, sottolineando che la religione è parte della propria fedeltà a valori alti. Quando si è ragazzi, si segue e si accoglie con gioia ciò che in famiglia si crede, sapendo che da grandi, dopo lunga riflessione, bisognerà affrontare in modo adulto quella fede che, nel frattempo, avrà avuto bisogno di maturare.
Il presepio è l’esperienza educativa seria di un educatore che lavora insieme con i bambini, spiegando, di volta in volta, il significato dei personaggi, la quotidianità, il lavoro che cerca un suo senso, la povertà che sa affidarsi alle mani degli adulti. E mentre spiega, sente ancor più di essere responsabile e di doversi fidare, come Dio si fida di Giuseppe e Maria, perché questi bambini crescano e si educhino in Gesù, che per Dio è la realtà più preziosa.
E poi il presepio è di tutta la famiglia e non lo si manipola come un videogiochi od un cartone animato per bambini. E’ solo un segno come lo sono le statue in chiesa, davanti a cui si prega sapendo che sono pezzi di gesso o di legno, ma ci ricordano la vita di povertà, di coraggio e di coerenza di S. Francesco, S. Antonio o S. Rita, e aiutano a ricordare e ad intercedere per chi soffre, e ci incoraggiano alla generosità che deve crescere o alla misericordia che vogliamo maturare.
Ci si ritrova in famiglia a pregare e i piccoli gesti di venerazione degli adulti fanno intendere che, nascoste nel loro cuore, ci sono gioia e tenerezza verso quel simbolo. Anzi, la loro vita assomiglia, di volta in volta, alla vita di quei personaggi e si sentono di far parte, anche loro, del presepio, in carne ed ossa.
Ci spiace che i segni religiosi non siano presi in considerazione? Probabilmente sì, ma non pretendiamo e piuttosto rammarichiamoci (stavo dicendo: scandalizziamoci) quando tali segni vengono assunti con significati e valori diversi da quello che vogliono manifestare.
E’ una manipolazione della religione, è una deformazione che uccide la fede. Perciò chi ha fede (e dovrebbe rispolverarla con un minimo di consapevolezza), faccia il suo presepio.
Chi non ne vuol sapere, non lo faccia. E’ più coerente perché accetta di non ingannare nessuno.
E se, però, qualcuno lo vuol fare per ricreare un po’ di “magia”, aiutatelo a cercarne il senso. Potrebbe essere incoraggiato o potrebbe averne paura.
Noi, però, ricordiamoci che, in Italia, come cattolici, siamo una minoranza e non è sufficiente moltiplicare i presepi per sentirci più numerosi.
                                     Don Raffaello”

P.S. Auguri naturalmente a Silvio Berlusconi per la sua salute.
Anche se è stravagante e poco rassicurante (anzi mi inquieta un po’) che chi ha gestito per cinque anni la sanità (e vanta nell’intero globo terraqueo il modello lombardo) vada a all’estero per fare una operazione molto banale.
Forse ha ragione Ellekappa: a Silvio piacciono le operazioni off-shore….

postato da carnesalli | 14:00 | commenti (1)
controcanto

mercoledì, dicembre 13, 2006
 
N.S.- Nuovo Sistema

Il fatto è noto: una famiglia massacrata a coltellate dalle parti di Erba.

Parte subito il sabba informativo: massacro - capofamiglia tunisino introvabile - indulto - colpevolezza - dagli all’untore.
Scandalo e pubblico ludibrio! (ma non erano tutti garantisti?)

Perfino il “Corriere della sera” in prima pagina maramaldeggia con vocaboli del tipo “immigrato maghrebino”, “straniero”, “marocchino” (era tunisino, ma tant’è: era di pelle scura, e il marocchino fa più paura, nell’immaginario collettivo).
Ma così Il Giornale, Libero, La Stampa… la televisione

Normale, ci siamo abituati.

Però ogni volta che accade un episodio di questo genere lo si legge negli occhi della gente, di coloro che non avevano il coraggio di dirlo, lo si ascolta da chi urla a gran voce nei microfoni della televisione cinica, opportunista e populista che abbiamo.
Lo sbirciamo sui titoloni dei soliti giornali.
Lo si sente ripete da alcune forze politiche che demagogicamente speculano su quel che è avvenuto per un pugno di voti: “sono tutti criminali”, “mandiamoli a casa”, “ci vorrebbe la pena di morte”: ma chi sono i veri mostri?

Angoscia e odio, ecco cosa si legge.

Durante la peste di Londra della prima metà del seicento si sparse la voce che erano responsabili dell’epidemia streghe e untori. Si diede loro la caccia, li si acchiappò, si fecero processi pubblici e li si giustiziò pubblicamente E ogni volta che si tenevano queste adunanze a base di decapitazioni, migliaia di persone accorrevano e le pulci dei topi, responsabili della diffusione del virus, ne approfittavano per saltare su persone sane e infettarle.

Anche oggi davanti alla criminalità vera o presunta si invoca la giustizia sommaria, soprattutto verso gli immigrati, i “diversi”.

Ignorando tra l'altro, così facendo, le vere cause della delinquenza e aumentando il pericolo invece di contrastarlo.
E la mancata individuazione delle cause rende illegibile il fenomeno e non credibili i rimedi (fili spinati, la pena di morte, le ronde…)

Il movente? Non importa.
Quando un delitto è compiuto da un “immigrato maghrebino”, “straniero”o “marocchino” il movente non è necessario: loro “sono” così, il movente sta nel “come sono”.

Certo, non era uno stinco di santo, ma basta questo?
Poi magari si scopre che l’untore (quante altre volte nella storia?) non c’entra per nulla.

Problema politico? Certo.
Cattiva informazione? Sicuro.

Soprattutto però è il “sistema”, il “percorso logico” che dallo straniero e dal diverso passa per la violenza e arriva all’atto cruento.
Di necessità.
Sistema che, come sostiene Camon, non è figlio della notizia.
E’ la notizia che è figlia di questo sistema.

In un eterno circolo vizioso.

Cosa ci resta? Provare a cambiarlo questo sistema.
Almeno quello mentale.
Cominciando col chiedere scusa...

postato da carnesalli | 12:01 | commenti (5)
politica, societa, controcanto

lunedì, dicembre 11, 2006
 
Cos’è la destra, cos’è la sinistra…, si domandava anni fa Giorgio Gaber.
Per me la risposta è piuttosto semplice, per altri più complessa.

Da qualche tempo si è alzato un fastidioso gracidare, gira insistentemente una domanda (che per altro presuppone già la risposta…).
Chi possiede il telecomando della Pubblica opinione vuole sapere se siamo delusi da questo governo, come mai in sei mesi sei non ha ancora conquistato il Palazzo d’Inverno (dimenticando che quello precedente in sei mesi non aveva ancora scelto i ministri…)

Sarà che ormai preferisco le mezze stagioni (forse per via dell’età: oggi compio cinquant’anni), ma a me del Palazzo d’Inverno interessa poco.

Mi interessa invece che al più grande giornalista italiano vivente per cinque anni è stato impedito di parlare in televisione (questa è la destra).

E che da domani tornerà a far sentire la sua voce – e le sue idee - dal teleschermo (questa è la sinistra).

 “Se esistono ostacoli la linea di congiunzione più breve tra due punti può essere una curva” (B.Brecht)
postato da carnesalli | 09:16 | commenti (8)
politica, democrazia

mercoledì, dicembre 06, 2006
 
C – Cose serie

A novembre si sono registrati un aumento delle entrate fiscali di 2,4 milioni di euro, pari ad un incremento del 12,2% rispetto al novembre dell’anno precedente e un aumento di 37 miliardi di euro per i primi 11 mesi di quest’anno, pari ad un incremento dell’11,3% rispetto alle entrate degli undici mesi dell’anno scorso.
Questi maggiori introiti hanno riguardato tutti i comparti: Ires, Irpef e Iva (+ 13%).
Certo non è ancora l’effetto della finanziaria (non ancora approvata).
Una causa del fenomeno è attribuibile all’aumento del tasso di crescita del Pil (ai tempi del magnifico governo della destra pari allo 0,00%).
Ma non basta: perché il tasso di crescita delle entrate è tre volte maggiore del tasso di crescita nominale del reddito (circa 4%)
E’ ragionevole supporre che le maggiori entrate siano attribuibili alla riduzione dell’evasione, all’emersione del sommerso e del lavoro nero.
Certo hanno contribuito il decreto Bersani - Visco di luglio e le ispettive di maggior credibilità e serietà (almeno su certi temi…) del governo in carica.

Tutta l’eccedenza sarà il prossimo anno rimborsata ai contribuenti, cominciando dagli incapienti e poi via via (non al contrario come a qualcuno piacerebbe…).

Quindi chi ritiene che pagare meno tasse sia imprescindibile può dormire tranquillo.

E se adesso – finito il tormentone con tanto di gita a Roma – “tornassimo alle cose serie”? (come ha sostenuto Fini quando gli hanno chiesto se è finita la casa delle Libertà, ammettendo quindi che era tutta una pagliacciata).
Che so: ciò che avviene a Padova e i Pcs, la scoperta (di ieri, ahimè) che tra i precari le più precarie sono donne, la criminalità, l’economia, lo sviluppo… e altre cosette così.
Non trascurando la legalità e alcune commissioni di inchiesta “democratiche”: sulla Mitrokhin, sui fatti di Genova ecc.

Come nelle famiglie: prima si sgombra il grosso dello sporco che ci ha lasciato l’inquilino precedente, soprattutto quello buttato sotto i tappeti, che tanto non si vede, si butta quello che c’è da buttare e si comincia pian piano a sistemare.
Come ha sostenuto qualcuno più autorevole di me: all’inizio si fa un po’ di fatica perché ci troviamo di fronte una montagna (di debiti); ma poi inizia la discesa.
Fare il contrario è più problematico…

postato da carnesalli | 10:18 | commenti (2)
politica, democrazia

martedì, dicembre 05, 2006
 
R – Regime

Regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime, regime…

No… non sono impazzito, non del tutto almeno.

E’ uno sfogo: dopo cinque anni che ogni volta che usavo questo vocabolo in riferimento al passato governo - e credo con qualche ragione - venivo redarguito (come minimo mi prendevo dell’esagerato, a volte dell’intollerante, altre volte ancora epiteti che non posso riferire), ora ho visto con qualche stupore che lo slogan della manifestazione della destra a Roma era nientemeno “contro il regime per la libertà” (scritto ben  grosso, anche), e nessuno dei soloni del bon ton e delle vestali del politicamente corretto ha fatto un plissè.
Non dico una contestazione, una polemica, ma almeno far notare la contraddizione.

E tutto ciò dopo la Mitrokhin (con annesso polonio), Telekom serbia, le intercettazioni, Pio Pompa e la distruzione dell’opposizione, le leggi ad personam, la Gasparri , gli editti bulgari e non solo, una riforma della Costituzione assurda e pericolosa, perfino l’otto per mille usato per la guerra in Iraq …
Financo dopo che ai giornalisti che sono saliti sul palco della manifestazione sabato è stato imposto un braccialetto con lo slogan (come i giornalisti embedded in guerra).

Ma anche questa volta mi tocca ammettere che Berlusconi ha ragione.

Siamo in un regime.
Il suo.

postato da carnesalli | 09:28 | commenti (3)
sfoghi, pruriti, democrazia, controcanto

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