ABBECEDARIO A MODO MIO

ABBECEDARIO A MODO MIO


"IL CONTRARIO DELL'AMORE NON E' L'ODIO, MA L'INDIFFERENZA. IL CONTRARIO DELLA VITA NON E' LA MORTE,MA L'INDIFFERENZA QUALSIASI COSA SCEGLIATE, MIEI GIOVANI AMICI, NON SIATE INDIFFERENTI" E.Wiesel

Sono particolarmente sensibile ai problemi sociali e a quelli delle persone più deboli: faccio del mio meglio perché si affermino i diritti di cittadinanza, di libertà, di eguaglianza, di giustizia, del lavoro, allo studio, a essere curati.
Credo in una società aperta, solidale, protesa al futuro, ma un futuro di equità e fratellanza.
Credo che ciò debba essere raggiunto assieme a tutti gli uomini di buona volontà che non hanno una visione egoistica della vita.
Alla domanda posta dai versi di una canzone "...Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?", vorrei che di me si dicesse, parafrasando ancora i versi del medesimo cantautore: "Ha avuto la forza che serve a camminare, ...e comunque la sua parte l'ha potuta garantire".
(Introduzione de "Abbedecedario a modo mio", del sottoscritto, Euzelia edizioni)

lunedì 16 gennaio 2012

APRILE 2007

martedì, aprile 24, 2007  

"Io so che ho una nipotina ebrea, che le voglio un gran bene, che mi piace accarezzarle la testa.
Io so che non credo che potrei godermela così se non avessi fatto ciò che ho fatto: la Resistenza.
E’ quella scelta di vita che mi permette di essere quello che sono, in pace con me stesso, in pace e in gioia con la mia nipotina ebrea.
Credo che se non avessi a un certo punto combattuto fascisti e invasori, sottoscrittori di leggi razziali e mastini della shoah, non averei la coscienza a posto e non riuscirei ad accarezzare quella bambina"
(da un'intervista di Enzo Biagi del 22.4.2007, giorno del suo rientro in TV dopo cinque anni...)


A un amico molto giovane (R.Roversi)
uno prendeva il fucile, saliva sulla montagna
la montagna era lì che aspettava, e non aveva pietà
un altro prendeva il fucile, andava per la pianura
anche la pianura aspettava, e non aveva pietà
nelle città era fuoco, terribile rosso il tramonto
e il fuoco bruciava le case, e non aveva pietà
giovani cadevano morti,  fra l’erba senza colore
pendevano morti dai rami spezzati, come
poveri cani
i mesi gli anni passavano, i giorni non davano tregua
un mitra stretto nel pugno, pianura montagna città

poi è arrivato un aprile, sangue di sole e di rose
come un vulcano che esplode, ha gridato libertà.

 Semplicemente liberi


 Un sottile revisionismo si è insidiosamente infiltrato nel tessuto sociale; la lotta che si sta verificando a livello mediatico per il dominio della memoria è sotto gli occhi di tutti.
Mai come ora sembra esserci bisogno di un richiamo forte alle radici democratiche e dunque resistenziali dell’Italia.

Il Paese sta vivendo una rimozione collettiva del senso del proprio passato
fascista e di un dopoguerra in cui il portato ideologico di destra non si è mai estinto.
I testimoni diretti delle guerre e delle tragedie del novecento stanno scomparendo o sono troppo vecchi e stanchi per incidere veramente sul senso comune di una società che non ha alcuna intenzione di ascoltarli.



 In Italia i loro figli hanno dimenticato cosa vogliono dire il fascismo, la deportazione, la guerra, i campi di sterminio, la fame e i loro nipoti sembrano non immaginarlo neppure.

Che la memoria fondi l’identità è un dato ormai assodato: la condivisione di una cultura rappresenta la struttura connettiva di una società.


Siamo quello che ricordiamo, come singoli e come collettività; per guardare al domani, nell’oggi, bisogna trovare lo ieri nel ricordo.


Quando nel presente si ha la mancanza di quadri di riferimento al passato si ha l’oblio di un dato culturale che coincide con mutamenti di senso che avvengono in modo strisciante e inavvertito.


Si ha così la proliferazione di tradizioni “inventate”, caratterizzate da un alto livello di simulazione per la costruzione “a tavolino” di determinati modelli antropologici, sociali, statuali.Tutto ciò appare evidente nel revisionismo storico, espressione ideologica della destra, funzionale a un uso della storia volto a legittimare aspetti del presente mediante il riferimento a un passato dalle caratteristiche fondazionali.La memoria pubblica è da sempre strumento nelle mani delle classi dirigenti per il consolidamento del consenso e per la propria autolegittimazione.Essere al governo, disporre di intellettuali e operatori culturali conniventi, possedere il monopolio televisivo ed editoriale da questo punto di vista rappresenta certo un vantaggio per riscrivere il passato, controllare il presente e determinare il futuro.


 Per questo è particolarmente importante oggi fare memoria. 
Ricordare la Resistenza , sia quella combattente che quella civile, che se ha avuto, pur essendo di breve durata, un così forte impatto in tutta Europa nei decenni successivi, è dipeso prima di tutto dalla sua scelta politica di fondo: di aver contrapposto al nazifascismo la democrazia, la libertà individuale e i diritti sociali.
La Resistenza (insieme all’antifascismo che ne è stato la premessa) è diventata il paradigma della Repubblica – il carattere fondativo della Repubblica - soprattutto per il suo straordinario potenziale creativo di democrazia, perché rappresentava il risveglio da una sonnolenza popolare di lunga durata: i partigiani erano 230.000, una somma di storie individuali che diventavano scelte di campo che decidevano della propria vita. E assieme alla resistenza armata c’era la Resistenza civile attiva.
Fascismo come antidemocrazia e democrazia come antifascismo .
Lungo sarebbe il discorso: qui basti dire che il fascismo non fu – come qualcuno sostenne – inveramento, ma rovesciamento del liberalismo: fu totalitarismo, controrivoluzione, reazione di classe contro i processi storici di emancipazione delle masse popolari e di allargamento della partecipazione politica, negazione del principio di libertà individuale e di quello di eguaglianza sociale: ovvero il fascismo fu la negazione dei fondamenti stessi della democrazia.
E questo giudizio sulla negatività del fascismo come antidemocrazia sta a fondamento della concezione della democrazia come antifascismo inscritta nel corredo genetico della nostra Costituzione repubblicana, non a caso presa d’assalto da questa destra.
Dice ancora Bobbio “come da questo coacervo di forze sia venuto fuori un testo unitario, approvato…quasi all’unanimità…sarebbe difficile spiegare, se non ci si rendesse conto  che essi avevano in comune almeno un’idea, non soltanto negativa, l’antifascismo, ma positiva. Questa idea comune era la democrazia…l’idea comune delle forze antifasciste in quanto tali non poteva essere che la democrazia in quanto antidemocratico era stato il fascismo”
In comune c’era un’idea, la democrazia, intesa come un insieme di principi, regole, istituti che permettono la più ampia partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica e quindi il più ampio controllo dei poteri dello stato. Se di una ideologia della resistenza si può parlare questa era la democrazia,m nella più ampia accezione del termine, in quanto antidemocratico, nel senso più ampio della parola, era stato il fascismo. Contro il principio dell’uguaglianza il fascismo aveva esaltato la gerarchia, contro il potere dal basso, il potere dall’alto, contro la libertà, l’autorità, contro lo spirito critico la fede cieca, contro il principio di responsabilità, il conformismo di massa.
Per questo certo revisionismo storico punta al rifiuto dell’antifascismo in nome dell’anticomunismo, cosa che ha finito spesso per condurre ad un’altra forma di equidistanza, che considero abominevole: tra fascismo e antifascismo.
Certamente su questo non ci può essere riconciliazione.
E’ dipeso anche dal fatto che per potersi contrapporre alla costruzione in corso di un’Europa tedesca si doveva passare attraverso un forte recupero dell’identità nazionale (per questo la lotta era estesa anche contro coloro che non erano tedeschi ma apparteneva a una comunità nazionale che avevano abbandonato o tradito).
Soprattutto dopo l’8 settembre lo sfacelo della “nazione” era reale: da esso poteva nascere l’abbandono o poteva nascere (e nacque) il proposito di ricostruire l’identità nazionale perduta.
Su questo punto la nuova Italia si incontrava con l’antifascismo storico, quello dell’esilio, delle carceri, del confino di polizia. Era l’idea di una Italia diversa, di una nazione che non schiacciava l’individuo ma traeva vigore da esso, che viveva la differenza con le altre nazioni non come loro negazione ma come cooperazione.
L’antifascismo divenne così un punto di riferimento obbligato della nuova esperienza politica.
Per questo appaiono indecenti certe assimilazioni, anche recenti, tra l’esperienza della resistenza e  del paese, e la Repubblica di Salò.
Si può rispettare la scelta sincera di chi aderì a quella repubblica, ma resta difficile vedere in quell’esperienza altro che uno strumento di coscrizione e di arruolamento forzato a favore dei tedeschi. Quando si parla di quel periodo come di una guerra civile (ed è giusto perché fu anche una resa dei conti armata tra italiani), non si può pensare ad una equiparazione dei due campi.
Da un lato la Resistenza , costruita da partiti diversi tra loro ma uniti da un obbiettivo comune, l’idea di una nazione aperta al mondo e rispettosa degli individui e delle loro aggregazioni sociali, civili, religiose.
Dall’altra il partito unico, una feroce persecuzione razzista, l’esaltazione di una cultura di morte.

 
 Ecco allora l’antitesi irriducibile tra fascismo e antifascismo, la reciproca determinazione della natura del fascismo come antidemocrazia e della democrazia come antifascismo: opposizione logica e assiologica, e storica.
“E’ mai possibile – si chiede Bobbio – in una storia etico politica non fare alcuna differenza tra coloro che avevano scelto la lotta per la liberazione del paese, coloro che avevano scelto di perpetuare il dominio di Hitler, e coloro i cui fine principale era quello della sopravvivenza?”

Ricorda in una pagina del suo diario Calamandrei “…questa tenerezza è la patria. Ci siamo ritrovati. Siamo uomini anche noi. Una delle colpe più gravi del fascismo è stata questa: uccidere il senso della patria…Si è avuta la sensazione di essere occupati da stranieri: questi italiani fascisti, che accampavano il nostro suolo, erano in realtà stranieri. Se erano italiani loro, noi non eravamo italiani”

Per questo il 25 aprile 1945 fu veramente la primavera d’Italia, un’ondata irresistibile di gioia. Giorno di liberazione, libertà e pace.

 Mai come ora c’è bisogno di un richiamo forte alle radici democratiche dell’Italia del dopoguerra.
Resistere è parola attuale che significa saper garantire e difendere nuovi diritti e nuove frontiere di civiltà.

Significa continuare a ricordare:


Il tuo compagno se ne va.
Se ne va dopo aver amato libertà, giustizia.
Se ne va dopo aver amato te, tanto.
Ma tu devi vivere…
Ti sarò comunque vicino, lo so e lo sento,
Vicino a te e a tutte le persone care.
Muoio in piedi.
Sappilo, e ricordami così.
Ti amo tanto
Paolo”
(Paolo Vasario, medico partigiano, fucilato dai tedeschi a 33 anni il 22 luglio 1944)

 Non lasciamo appassire mai questi ricordi, come tristemente appassiscono quelle corone ormai stinte e quelle lapidi scolorite accanto ai portoni.
Come ricordava già G.Arpino nel 1954

Torino fredda
Fermarono i contadini in piazza perché vedessero.Era giorno di mercato, i paesani venuti da fuoriStavano intorno ai vitelli legato con corde.Nessuna finestra aperta nei grandi palazzi attorno,In dodici caricarono lunghi fuciliE uno solo dei due legati sulle sedieRiuscì a voltare un poco la testa, cercando ancora il mondo.Adesso c’è la lapide e ventisette buchi nel muroE un portafiori di latta arrugginito che pendeE qualcuno che di notte passa e s ferma un poco a guardareI nomi scoloriti incisi nel marmo.
 Il 25 aprile, sia la primavera della memoria.
 
Quel portafiori di latta arrugginito sia sempre pieno di fiori freschi. Perché grazie a loro siamo semplicemente liberi.


 Per saperne un po’ di più:
V.Foa, Questo novecento, Einaudi
N.Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, Baldini e Castoldi

Qualche romanzo:

E.Vittorini, Uomini e no
I.Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno
V.Viganò, L’Agnese va a morire
C.Pavese, La casa in collina
C.Cassola, La ragazza di Bube
N.Revelli, La guerra dei poveri e Il mondo dei vinti

 Consigliamo il più grande di tutti: B.Fenoglio
                                                                                               
                                                                                           
Per chi vuole approfondire:

 ANPI

 Resistenza italiana 

 ANPI Roma



 Le parole di un testimone:“Si è antifascisti quando si rispetta l’altro, quando se ne riconosce la legittimità nell’atto stesso di contrastarlo e d combatterlo, quando non si pretende di distruggerlo e nemmeno di assimilarlo, cioè di ridurre il suo pensiero, la sua identità al nostro pensiero, alla nostra identità.L’antifascismo è ansia di intervenire contro l’ingiustizia, piccola o grande che sia, di intervenire contro ogni minaccia di libertà; è pluralismo politico e sociale, cioè legittimazione delle differenze; è la democrazia come partecipazione e non solo come garanzia;è il rifiuto di ogni delega globale”(V.Foa)

Ai fratelli Cervi, alla loro Italia. ….Ma io scrivo ancora parole d’amore, e anche questa terra è una lettera d’amorealla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi, non alle sette stelle dell’orsa: ai setteemiliani dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.Non sapevano soldati, filosofi, poeti, di questo umanesimo di razza contadina.L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,non per memoria, ma per i giorni che striscianotardi di storia, rapidi di macchie di sangue(S.Quasimodo)
  “Diana cara, la vita che doveva cominciare è terminata per me anzitempo.
Ma durerà nel ricordo. Ti amo Diana.


Per questo dobbiamo dire grazie.
 L’eredità antifascista della Resistenza – le radici della nostra libertà – è oggetto di ripetuti attacchi.
postato da carnesalli | 14:00 | commenti (9)
memoria, democrazia


martedì, aprile 17, 2007
 

G – Gramsci (e gli indifferenti)
(Storie della mia storia)















Il 27 aprile 1937 moriva, alle 4.10 del mattino, Antonio Gramsci, da poco in regime di libertà condizionale dopo una lunga prigionia nelle prigioni fasciste.

Grande, da qualunque parte lo si guardi e comunque la si pensi.

Non a caso è il pensatore italiano oggi più tradotto al mondo (anche negli Stati Uniti, forse perché la sua teoria sulla “presa del potere” tramite l’egemonia culturale e sociale prima ancora che politica, è stata ormai - ahimè - assunta dalla destra…)

Nel 1917 cura la redazione di un numero unico della Federazione giovanile socialista piemontese, La “Città futura”.

Vorrei proporre per ricordarlo questo articolo: sono parole che condivido e credo sempre - e forse ora come mai prima - attuali.

                                                        Odio gli indifferenti.
Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani" . Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti."
postato da carnesalli | 18:20 | commenti (7)
idee, persone


giovedì, aprile 12, 2007
 

G.P. – Giusto Proposito (o Ginsborg Paul)

“Il vero potere risiede nelle mani di chi ha in mano i mass  media”
(Licio Gelli)

Ieri sera mi è capitato tra le mani un ritaglio di giornale che avevo conservato (non riesco a leggere tutto subito…)
Conteneva una intervista a Paul Ginsborg, in occasione della presentazione del suo ultimo libro.
Tra l’altro vi sosteneva:
“Visionando il filmato della manifestazione di piazza S.Giovanni (quella tenuta a Roma a dicembre dal Polo) l’evidente disinformazione di molti giovani di Forza Italia … ed è la disinformazione che è la base del populismo. Allora, se noi riusciamo creare cerchi più grandi di cittadini – nel libro li ho chiamati attivi e dissenzienti, sia di destra che di sinistra – è possibile capire meglio la complessità della sfera pubblica. Credo sia questa la difesa migliore contro il populismo. Questo fenomeno cresce proprio dove c’è ignoranza, dove c’è un capo carismatico e bastano tre slogan per ripartire
Noi stiamo giocando non solo una partita politica, ma una propriamente culturale.”

Giusto professore.
Siamo qui per questo…



venerdì, aprile 06, 2007
 

P – Pasqua (buona) di pace e felicità a tutti
breve “riflessione quaresimale” 
Credo che ai più questa parola faccia venire in mente croci, sudari, digiuni.
Una religione triste, fatta di rinunce, sofferenza, sacrifici, sopportazioni, cuori trafitti da spade; da mogli rassegnate che lo fanno “non per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio”; da Madonne che piangono e se non piangono, sono per lo meno addolorate (perché poi non è mai stata trovata una Madonna che ride?); da benpensanti (di solito malfacenti) “lavapiùbianco”, che una volta o due all’anno centrifugano la coscienza nella speranza di farla franca…
Pasqua è passaggio per gli ebrei (l’esodo del popolo d’Israele dall’Egitto verso la libertà), resurrezione per i cristiani, festa per tutti gli altri.



Compresi gli astuti produttori di colombe e uova.

 Eppure molti la associano, la identificano con il digiuno, la mortificazione.

O con la settimana bianca, ma questo è un altri discorso.


 
“Ma nel giorno in cui digiuniate, voi trovate modo di fare i vostri affari e opprimete i vostri dipendenti. Sì, per attaccar lite e contesa digiunate e per coprire col pugno il povero… E’ forse questo il digiuno che io posso apprezzare, il giorno della mortificazione che io possa gradire? Piegare come un giunco la testa, giacere cinti di sacco nella polvere. E’ questo che voi chiamate digiuno, giorno gradito al Signore? E’ questo un digiuno che io posso apprezzare? Rompete piuttosto i legami della malvagità, sciogliete i vincoli del giogo, rimandate liberi gli oppressi e infrangete ogni giogo. Spezza il tuo pane all’affamato… Allora eromperà come l’alba la tua luce… camminerà davanti a te la giustizia… e la gioia del Signore ti raggiungerà. Prodiga te stesso all’affamato e sazia chi ha fame e brillerà nell’oscurità la tua luce e le tue tenebre saranno come mezzogiorno…le tue ossa si rafforzeranno e tu sarai come un giardino innaffiato come una fonte d’acqua perenne”.
(Isaia 58, 1 ss.)
Qualcuno penserà: “il solito esagerato”…
E' dell'altro giorno la notizia che in una scuola materna francese alcuni bambini sono stati tenuti a pane e acqua perchè non erano in regola con la retta.

E da noi si manifesta contro le coppie di fatto...
Via i cilici, le facce di circostanza, i “perbenismi interessati, le dignità fatte di vuoto” - cantava Guccini quand’ero bambino-  le ipocrisie…
Un augurio a tutti di una buona Pasqua di giustizia, pace, felicità e…  allegria!
postato da carnesalli | 14:34 | commenti (5)


mercoledì, aprile 04, 2007
 

S – Il sogno spezzato…
(storie della mia storia)

Early Morning, April 4Shot rings out in the Menphis sky Free at last, they took your life They could not take your pride. (U2, Pride, 1984)
Il 4 aprile cui si riferisce la notissima Pride degli U2 è quello del 1968. La vita, quella del reverendo Martin Luther King.Un giorno qualsiasi,  per un uomo che qualsiasi non era.
I netturbini di Memphis, che da mesi chiedevano inutilmente al sindaco il riconoscimento dei loro diritti,  quella sera lo aspettavano per un comizio.
Giunse loro la notizia del suo assassinio.
Martin Luther King era nato ad Atlanta in Georgia  nel 1929, in un ambiente strettamente legato alla chiesa battista.Cresciuto in un ambiente fortemente razzista come poteva esserlo quello del sud degli Stati Uniti durante la grande depressione, si rese presto conto che la vita per un bambino nero era diversa da quella dei suoi coetanei bianchi.
I divieti segnarono la sua infanzia: proibito parlare coi bianchi, scuole separati, entrate separate nei negozi…
Una costrizione opprimente: a quattordici anni un viaggio in autobus con la sua insegnante lo segnò in modo indelebile: ”durante il viaggio – racconta – salirono sull’autobus alcuni passeggeri bianchi e l’autista bianco ci ordinò di alzarci e di cedere il posto a loro.. E siccome non ci alzavamo abbastanza in fretta, prese a insultarci bestemmiando… Restammo in piedi per tutti i centoquaranta chilometri di percorso che restavano prima di Atlanta…
Il sogno giovanile di divenire avvocato cedette il posto ad una spinta più profonda, maturata lentamente: abbracciare la religione.Ministro della Chiesa Battista, divenne presto famoso per le prediche con cui incitava i confratelli a combattere per i diritti civili, proponendo però un modello di lotta non violento, ispirato a Ghandi.
Ad un certo punto, la svolta.
Il 1° dicembre 1955 su un autobus di Montgomery, la sartina Rosa Parks rifiutò “con un atteggiamento calmo, sommesso e dignitoso”, scriverà poi, di lasciare libero il sedile su cui era seduta, riservato ai bianchi.Venne arrestata.Il reverendo  decise che era il momento di alzare la voce e accolse la proposta di boicottare i mezzi pubblici.
L’iniziativa ebbe un enorme successo: il 13 novembre 1956 le leggi che imponevano il regime segregazionista sugli autobus vennero dichiarate incostituzionali.Fu una vittoria enorme per King e per il movimento dei diritti civili.
Negli anni King fu oggetto di attentati dinamitardi, aggressioni, sassaiole, percosse, minacce, arresti.
Nell’estate del 1963 al termine della marcia per il lavoro e la libertà, fu capace di radunare a Washington davanti al monumento a Lincoln una folla mai vista: 250.000 persone.A quella folla consegnò il famoso discorso aperto dalle parole “I have a dream”: “ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali”.
L’anno seguente ricevette il Nobel per la pace.
“Ebbene non so cosa accadrà d’ora in poi; ci aspettano giornate difficili. Ma davvero per me non ha importanza…Forse non ci arriverò assieme a voi. Ma stasera voglio che sappiate che noi come popolo, arriveremo alla terra promessa”.
Il 4 aprile 1968, il giorno dopo aver pronunciato queste parole, Martin Luther King rientrò stanco nella sua camera n. 306 del Lorraine Motel di Memphis. Doveva ancora scrivere il sermone per la domenica successiva e poi più tardi  lo aspettavano gli scioperanti  giù in città.
Dopo la cena si fece la barba, si annodò la cravatta e uscì a prendere un po’ d’aria suo balcone.
Chi lo aspettava fu freddo e preciso: la pallottola di grosso calibro lo raggiunse al mento, la morte fu praticamente istantanea.
Ma il suo sogno credo sia più vivo che mai.
Vorrei proporre di Martin Luther King non il solito discorso, che la gran parte conosce.
Ma un altro.Meno conosciuto, ma che mi entusiasma:“…di tanto in tanto io penso alla mia morte e al mio funerale. Non ci penso in maniera morbosa. Di tanto in tanto mi domando: “ che cosa vorrei che dicessero?”E stamani lascio a voi la parola.Quel giorno mi piacerebbe  che si dicesse: Martin Luther King  ha cercato di dedicare la vita a servire gli altri.Quel giorno mi piacerebbe  che si dicesse: Martin Luther King ha cercato di amare qualcuno.Vorrei che diceste quel giorno, che ho cercato di essere giusto sulle questioni della guerra.Quel giorno vorrei che poteste dire che ho davvero cercato di dar da mangiare agli affamati.E vorrei che poteste dire, quel giorno, che nella mia vita ho davvero cercato di vestire gli ignudi.Vorrei che diceste, quel giorno, che ho davvero cercato nella mia vita, di visitare i carcerati.Vorrei che diceste che ho cercato di amare e servire l’umanità.Sì, se volete dire che sono stato una grancassa, dite che sono stato una grancassa per la giustizia. Dite che sono stato una grancassa per la pace. Sono stato una grancassa  per la rettitudine. E tutte le altre cose di superficie non conteranno. Non avrò denaro da lasciare dietro di me. Non avrò cose belle e lussuose della vita da lasciare dietro di me. Ma io voglio soltanto una vita impegnata da lasciarmi alle spalle. Ed è tutto quello che volevo dire.Se riesco ad aiutare qualcuno mentre passo, se riesco a rallegrare qualcuno con un parola o un canto, se riesco a mostrare a qualcuno che sta andando nella direzione sbagliata, allora non sarò vissuto invano.Se riesco a fare il mio dovere come dovrebbe un cristiano, se riesco a portare la salvezza a un mondo che è stato plasmato, se riesco a diffondere il messaggio come il Maestro ha insegnato, allora la mia vita non sarà stata invano”.
Il giorno dopo aver pronunciato queste parole verrà assassinato.
Tra mille anni, ma spero che qualcuno “quel giorno” possa dire le stesse cose di me.

postato da carnesalli | 09:34 | commenti (6)
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