ABBECEDARIO A MODO MIO

ABBECEDARIO A MODO MIO


"IL CONTRARIO DELL'AMORE NON E' L'ODIO, MA L'INDIFFERENZA. IL CONTRARIO DELLA VITA NON E' LA MORTE,MA L'INDIFFERENZA QUALSIASI COSA SCEGLIATE, MIEI GIOVANI AMICI, NON SIATE INDIFFERENTI" E.Wiesel

Sono particolarmente sensibile ai problemi sociali e a quelli delle persone più deboli: faccio del mio meglio perché si affermino i diritti di cittadinanza, di libertà, di eguaglianza, di giustizia, del lavoro, allo studio, a essere curati.
Credo in una società aperta, solidale, protesa al futuro, ma un futuro di equità e fratellanza.
Credo che ciò debba essere raggiunto assieme a tutti gli uomini di buona volontà che non hanno una visione egoistica della vita.
Alla domanda posta dai versi di una canzone "...Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?", vorrei che di me si dicesse, parafrasando ancora i versi del medesimo cantautore: "Ha avuto la forza che serve a camminare, ...e comunque la sua parte l'ha potuta garantire".
(Introduzione de "Abbedecedario a modo mio", del sottoscritto, Euzelia edizioni)

lunedì 16 gennaio 2012

MARZO 2007

venerdì, marzo 30, 2007
 
D – Disagio

“Credo che la Chiesa italiana debba dire cose che la gente capisce, non come un comando ricevuto dall´alto al quale bisogna obbedire... Bisogna innanzitutto ascoltare la gente con le sue sofferenze. Anche chi non pratica la religione o ha un´altra religione”(Card. Martini, marzo 2007)

Si tengano forte donne e schiavi.
Scriveva Sant’Agostino: “E’ nell’ordine della natura che le mogli servano i loro mariti… e la giustizia di ciò risiede nel principio che gli inferiori servano i superiori… La giustizia naturale vuole che i meno capaci servano i più capaci.
Essa diventa evidente nel rapporto tra gli schiavi ed i loro padroni, che eccellono in intelletto ed eccellono in potere” (Eptateuco, 1.153).

Qualcuno, usando a pretesto “l’ordine della natura” e “la giustizia naturale” potrebbe sostenere oggi le stesse cose?
Probabilmente però – anzi, certamente - quando hanno emancipato gli schiavi o concesso il voto alle donne (per parlare solo di “diritti”, trascurando la “sostanza” dei due problemi) qualcuno avrà alzato alti lai per questi provvedimenti “contro natura”.

Come tanti, credo, anzi lo so per certo, sto provando un forte disagio, per un clima generale che si sta creando nella chiesa, e che si evidenzia con molta asprezza, per esempio sulla questione dei «Dico», e sul fatto che si sia sentita la necessità - per dirla con le parole del cardinal Ruini -  di «una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti».

Quello che mi preoccupa maggiormente è l’espressione «impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa». Il che, tradotto, significherebbe «vincolante per i cattolici». E, magari, particolarmente vincolante per quei cattolici che siedono in Parlamento come deputati e senatori.

Il che configurerebbe un'ingerenza davvero pericolosa non solo nelle coscienze, ma anche nella politica. Insomma, un nuovo Sillabo (la condanna degli «errori» della modernità elencati da Pio IX nel 1864), che manda a carte e quarantotto l'idea di un cattolicesimo adulto (una Chiesa, come si è espressa il ministro Rosy Bindi «maestra di valori più che di comportamenti») e quel principio della libertà di coscienza più volte ribadito nei documenti del Concilio Vaticano II.

Credo che sia attribuita al laico cristiano la responsabilità di fare sintesi tra il suo essere uomo o donna di fede e cittadino. Con la conseguente continua fatica di elaborare e promuovere le forme meno contraddittorie per tradurre i principi e i valori che discendono dalla fede cristiana nelle dimensioni civili, legislative, istituzionali della democrazia, mantenendo tuttavia un atteggiamento di dialogo e cercando, nelle forme possibili, la collaborazione di tutte le persone di buona volontà.
Laici cristiani, insomma, che in questo impegno (per esempio in politica) si assumono le loro responsabilità e non coinvolgono i Vescovi nelle loro scelte.
Che sentano insomma la responsabilità di cittadini e cristiani nel valutare e scegliere come fare una legge, come votare, come fare “politica”. Tenendo ovviamente conto delle indicazioni e dei pronunciamenti della chiesa, ma secondo il metodo del discernimento, del dialogo e del bene comune.

Non credo tra l’altro che si debba dimenticare che in una società pluralista che si vuole democratica le leggi si costruiscono con gli altri e che sovente il legislatore può solo stabilire il male minore.
Se i principi e le scelte religiose diventassero legge imposta agli altri, avremmo un totalitarismo religioso.

I cristiani, credo, devono allora essere vigilanti, devono contribuire alla costruzione della polis, fedeli all’ispirazione della loro fede, devono saper proporre, dire e anche personalmente vivere ciò che per loro è irrinunciabile a causa del Vangelo, ma sempre senza arroganza e intolleranza.
“Se i cristiani mostrassero tratti di clericalismo, se volessero imporre ad ogni costo i loro principi in una società che è postcristiana, allora finirebbero per contribuire ad alimentare l’inimicizia” (E.Bianchi).

Ovvio che il cristianesimo come ogni religione,  non può essere confinato nella sfera privata, ma esso non può neppure essere ridotto a politica, né imposto come fede o come etica in una società plurale, né può rivendicare un posto centrale nella società.
La chiesa non può sentirsi e comportarsi come una fortezza assediata: nessuna tentazione di mobilitazione di ordine politico, soprattutto nessuna chiamata in soccorso lanciata a quegli “atei clericali” che da sempre ostili, diffidenti  o estranei verso il cristianesimo, oggi lo scoprono come possibile strumento per consolidare il loro posizionamento nella società, nessuna manifestazione di integralismo.
I cristiani alla pari degli altri uomini sono chiamati a partecipare a pieno titolo all’edificazione della polis anche attraverso l’arte del governo come necessità societaria che concerne pure i cristiani; per
questo si impegneranno nella politica con gli altri uomini e donne non cristiani.
La tentazione della gerarchia può essere quella di entrare direttamente nell’azione politica e sostituirsi a quell’azione che invece spetta proprio ai semplici cristiani.
Dice il Concilio: “La Chiesa non desidera affatto intromettersi nella direzione della società terrena; essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza se non quella di servire amorevolmente e fedelmente con l’aiuto di Dio, gli uomini” (Ad gentes, 12)

Il problema - temo - è che oggi nella Chiesa cattolica (e in quella italiana in particolare) è stato pressoché soffocato ogni dibattito interno. In questo senso sembrano davvero lontani anni luce i tempi del Concilio, quando la Chiesa conobbe una primavera di apertura al mondo contemporaneo ormai archiviata.

Chi si pone fuori dal coro sugli argomenti considerati «sensibili» va incontro all'ostracismo e all'esclusione. Cioè, se si tratta di un pastore, rischia di perdere «il posto». E, ora, anche il «semplice» credente potrà incorrere nella scomunica.

Quello che oggi manca ai cattolici è, credo, un analogo dibattito, franco e aperto, in cui ciascuno porti la sua voce, il suo punto di vista, per arricchire il confronto e per far sì che quanto diciamo come Chiesa sia, prima di tutto, conforme al Vangelo, più che allineato a certe battaglie astratte in difesa dello status quo. E per fare in modo che si comprenda come la Chiesa sia una comunità, in cui tutti hanno diritto di parola, e non un club per far parte del quale bisogna attenersi a un regolamento stabilito dalla direzione.

Sul referendum del divorzio, per dire, tutta la chiesa parlava: le parrocchie, le associazioni cattoliche, le comunità cristiane di base, le riviste. Tutta la chiesa era coinvolta in una grande riflessione.
Erano delle grandi controversie nelle quali i cristiani erano sollecitati a ripensare alla loro fede.
Questo faceva si che anche i contenuti del confronto fossero molto più ricchi.
E i rapporti, tutto sommato, molto più sinceri e fraterni.

Il Vangelo dell'accoglienza insegna, credo, soprattutto, ad ascoltare i bisogni e le esigenze del nostro prossimo. Un disegno di legge come quello dei «Dico» (per fare un esempio) va esattamente in questa direzione.
Stabilisce diritti per persone.
Spesso a persone in difficoltà.
L'Arcigay ci informa che molti dei suicidi tra gli adolescenti sono dovuti alla scoperta dell’omosessualità. Cambiare questa cultura della colpevolizzazione probabilmente significa salvare delle vite. Quanto alle presunte conseguenze di scardinamento della famiglia tradizionale mi viene da compiere alcune riflessioni. Uno strumento come quello dei «Dico» non va ad attaccare la famiglia tradizionale, ma ad aggiungersi ad essa.
Non si tratta  di destabilizzare la famiglia più di quanto sia già stata terremotata negli ultimi quarant'anni, bensì di regolare esperienze di vita presenti in una società pluralistica.
Credo che a rendere difficile il formare una famiglia, non sia certo - come temono i vescovi - la concorrenza di modelli alternativi, ma piuttosto la situazione di incertezza generata da un lavoro sempre più incerto e precario. Per non parlare della questione della casa, bene di per sé primario, ma ormai per molti sogno proibito. Credo che sia proprio questo l'impegno da mettere in atto a favore della famiglia: soluzioni concrete a problemi concreti, come gli stessi «Dico» tentano di fare.
Molto più che combattere anacronistiche crociate di cui la maggior parte dei cattolici italiani non sente affatto il bisogno. Mi piacerebbe che questo diffuso dissenso trovasse il coraggio e i modi per emergere; una Chiesa che annuncia la misericordia e il perdono di Dio, dovrebbe capire che le leggi umane non tradiscono in alcun modo la giustizia di Dio, e dovrebbe recuperare lo spazio per la dialettica tra umano e divino, non separati e non confusi, vero fulcro del cristianesimo.

Una cosa è la Chiesa che cerca di persuadere le coscienze, che dica la  sua. Rientra nel suo magistero. Chi mai chiede che la Chiesa non parli?
 Diverso invece è che questo parlare prenda le forme di una pronunzia “canonica”.
Cercare di dirimere con un atto autoritativo una questione largamente opinabile e controversa, non può non turbare l’opinione pubblica anche cattolica.
Spero che si capisca quanto sia pericoloso oltrepassare un certo limite.
Come spero che i vescovi riprendano la parola. Noi – dice Raniero La Valle - non abbiamo bisogno del silenzio della Chiesa. Ma che parli come parlava il Concilio, educandoci alla libertà della fede  e della responsabilità.

Sono sempre più convinto insomma che oggi ai cristiani sia richiesto quell’atteggiamento positivo, rappacificato, descritto nella lettera A Diogneto  nel II secolo: che non rinneghino cioè nulla del Vangelo, ma restino in mezzo agli altri uomini con simpatia, senza separarsi da loro, solidali, tesi a costruire insieme una città più umana.
Cristiani che sappiano vivere come amici di tutti gli uomini senza cadere preda dell’angoscia o della paura di essere minoranza, vero lievito e  sale nella pasta del mondo.
Cosicché nell’incontro del  cristiano con chi cristiano non  è, entrambi possano esclamare: mai l’uno senza l’altro!

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lunedì, marzo 26, 2007
 
M – Faccia di … Moratti (il Masaniello de noartri)
Stasera a Milano “spontanea” manifestazione per le strade della città per richiedere una maggiore sicurezza e cioè maggiore polizia (sempre lì finisce per alcuni: laisser fare a go go e poi manganelli a buoi scappati…).
Aprirà il corteo il sindaco, ma da privato cittadino, che sempre spontaneamente sarà accompagnata da Silvio Berlusconi, dallo stato maggiore di An e della Lega.

Ora:
a parte il fatto che il centrodestra governa a Milano da più di quindici anni e in Lombardia (Formigoni sarà presente anche lui) da ancora prima;
a parte il fatto che fino a sei mesi fa al governo del paese c’era chi adesso sfila in prima linea (e che ha prodotto tagli alla sicurezza e leggi dissennate come la Bossi-Fini che ha di fatto creato maggior illegalità);
a parte l’assenza di qualsiasi politica comunale per la cultura, le periferie, i giovani, il lavoro, il “sociale” - le solitudini ed emarginazioni a vario modo presenti in città – (eccezion fatta forse per le taniche di benzina usate da esponenti di alcuni partiti presenti al corteo per bruciare qualche sgradito campo nomadi);
a parte che il sito web della manifestazione è stato registrato due giorni prima della “spontanea” (che forse tanto spontanea non era) richiesta - lettera appello ai milanesi.

A parte tutto ciò le cifre del preventivo 2007 del bilancio  smentiscono la propaganda di una finanziaria tutta tagli.
I trasferimenti statali sono passati dai 13 milioni di euro del 2005 ai 348 del 2006 ai 582 del 2007.
Aumentati anche i trasferimenti per la parte corrente da 1 miliardo 217 milioni a 1 miliardo e 221 milioni.

Ma il Comune ha tagliato i fondi per la sicurezza: a bilancio ci sono tre milioni di euro in meno.

Ma allora di che parla la sindaca?

Avesse almeno sfilato contro tutti i problemi della città (lei compresa ovviamente…).

Il sindaco ha recentemente sostenuto di esser contro il “disagio”.
Non avendo precisato quale, le ricordo che a me ne provoca molto.
Se cominciasse a risolvere il mio?

Mi affido al suo buon cuore.

P.S. Io non potrò esserci, visto l’orario: ma aderisco alla contro-manifestazione lanciata dai comitati di quartiere - «per migliorare la sicurezza e vincere il degrado urbano»- con adesioni di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e del centrosinistra come don Gino Rigoldi, Moni Ovadia, Lella Costa, Roberto Vecchioni.

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politica, controcanto

venerdì, marzo 23, 2007
 
R – Romero, l’ultima omelia
(storie della mia storia, sempre attuali)
"...El Evangelio me impulsa a hacerlo y en su nombre estoy dispuesto a ir a los tribunales, a la cárcel y a la muerte..."


Oscar Arnulfo Romero, vescovo del Salvador, venne ucciso da un colpo di fucile in una chiesa dove aveva appena concluso la predica il 24 marzo 1980: ventisette anni fa.
Negli ultimi tempi non predicava dall’altare della cattedrale, ma nella Cappella del Sagrado Corazon. Perché la Cattedrale era occupata dai senza speranza: non solo affamati, anche la paura di chi non si piegava ai dogmi dell’oligarchia.
Paghe da fame, proibito protestare ed organizzare sindacati: era cominciata la lunga marcia che avrebbe portato – sull’onda della dottrina Reagan – alla globalizzazione.
Nell’ultimo anno di vita di Romero, settemila persone sono sparite a San Salvador. Una alla volta. Uomini senza divisa arrivavano di notte, scarpe militari, auto militari. Erano i militari maneggiare ogni potere.
Le squadre della morte bruciavano i giornali, qualsiasi giornale che osasse raccogliere gli appelli del vescovo. Punito con la dinamite anche Orientacion, settimanale della Diocesi.
Dure erano le sue parole.
La sua onestà intellettuale non sopportava il galleggiare del presidente democristiano Napoleon Duarte:” … la qualifica di cristiano in un partito politico, non vuol dire che il partito sia cristiano. Ciò che conta non è il nome, ma la realtà. E’ grande il rischio della democrazia cristiana nel far parte di un governo che svolge una tremenda opera di repressione. In questo senso la Democrazia cristiana si sta rendendo complice della violenza contro il popolo”.
La sua fede semplice ma rigorosa lo porta a rivolgersi ai militari così: “siamo figli della stessa patria, fratelli dello stesso popolo, non obbedite agli ordini di chi chiede di uccidere e torturare altri fratelli colpevoli solo di pretendere il pane che sazia la fame delle famiglie affamate. Non obbedite a chi impone il terrore con la divisa della patria”.
La sua speranza gli fa scrivere al presidente Carter (ma dopo di lui venne Reagan…): “Trovo ingiusto, signor Presidente, che interessi stranieri reprimano il popolo salvadoregno. Spero che la sua religiosità possa farle accogliere il mio messaggio evitando spargimenti di sangue. Chiedo al suo governo di intervenire economicamente e politicamente per cambiate il destino di un popolo prigioniero di un massacro.”
Lo spargimento di sangue non fu evitato, né del suo popolo né del suo.
A distanza di tanti anni solo due anni fa un giudice federale americano ha condannato il capitano Savaria (che tutti sapevano essere l’assassino) a una multa di dieci milioni di dollari, tenendo conto delle benemerenze delle quali il capitano si era coperto aiutando gli stati uniti “nella lotta al comunismo che minacciava le democrazie americane”.
Naturalmente i parenti hanno rifiutato i soldi e chiesto l’arresto.
Ma Savaria è sparito alla vigilia del processo.
Cosi tempo fa ha ricordato mons Romero “Nigrizia”, la rivista dei missionari comboniani.
 

Oscar Arnulfo Romero y Galdamez
(Arzobispo de San Salvador 1917-1980)
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persone

giovedì, marzo 22, 2007
 
A - Acqua, per favore…
Oggi giornata mondiale dell'acqua

E’ tempo di Quaresima, quindi tempo di digiuno, per scelta.
Occasione “ghiotta” per riflettere su chi è sempre in Quaresima, su chi digiuna tutto l’anno (non per scelta, almeno non sua), sempre che ci arrivi vivo, a fine anno.

Quando la fame non fa notizia.
Un recente rapporto speciale dell’ONU sulla questione del “diritto al cibo” ci dice molte cose, tutte stridenti con l’idea corrente che si ha dello stato del mondo e dei successi del progresso economico e tecnologico  di questo ultimo secolo, nonché delle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione.
Le persone che soffrono la fame oggi nel mondo, sono circa 840 milioni. In questo gruppo di donne e uomini ci sono quelli che rischiano di morire per malnutrizione (e mi accorgo ora che “simbolicamente” il mio computer mi segna in rosso – come errore - questa parola: non è prevista, si vede…).
Poi c’è un secondo gruppo, più fortunato, che mangia meno del necessario ma non è in immediato pericolo di vita: sono circa un miliardo e duecentomila persone che, sommate alle precedenti, porta a due miliardi il numero di quelli che patiscono perché non possono mangiare abbastanza.
Cioè circa un terzo dell’umanità.
Cinque anni fa la FAO si pose l’obiettivo di dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati gravi: obiettivo non solo fallito, ma anzi il numero è aumentato.
Per molti di loro quindi la condanna è firmata: non è detto che moriranno, ma hanno una buona probabilità.
Di questi circa 840 milioni di “morituri”, 800 milioni vivono nei paesi poverissimi, 30 milioni nei paesi in transizione e 11 milioni nei paesi ricchi e industrializzati.
La fame però non colpisce solo chi è affamato in questo momento: colpisce come una maledizione anche le generazioni che seguono.
La fame comporta un cattivo sviluppo fisico e intellettuale, malformazioni, riduzioni dell’intelligenza.
La fame è ereditaria.
Nel rapporto Onu si cita una frase dell’intellettuale francese Debray: “quei bambini sono crocifissi dalla nascita”.
Questo allargamento del fenomeno della fame è dovuto ad un restringimento delle risorse?
No: il rapporto ci dice che nel mondo si produce molto più cibo di quello che serve per saziare tutti i suoi abitanti.
Questo cibo però non viene distribuito.
Le persone più colpite dalla fame sono le donne, perché sono meno forti socialmente, hanno meno potere e capacità economiche. E i neri. I più poveri dei poveri.
Il rapporto dell’Onu dice con chiarezza che le politiche di privatizzazione e di deregolamentazione (flessibilità sul lavoro,per esempio) imposte negli ultimi anni hanno aggravato questa situazione.
Più specificatamente il rapporto mette sotto accusa le politiche economiche sostenute dalla Banca Mondiale, dall’Fmi e dal Wto: hanno portato ad un sottodimensionamento degli Stati, mentre per fare politiche di riequilibrio e di lotta alla povertà e alla fame, occorrono Stati forti.
Il rapporto dice anche che i responsabili principali di questa situazione sono le multinazionali e il sistema economico deregolato che le sostiene.
Esse hanno acquisito nell’ultimo decennio un potere gigantesco che interferisce col diritto universale al cibo e all’acqua (proprio “diritto”: leggere la Pacem in terris): sono ormai potenti come gli Stati e anche di più.
Il 25% di tutto il fatturato dell’intero pianeta è in mano a 200 multinazionali. Nessuno le controlla, ne limita le scelte, ne combatte gli abusi.
Dice il rapporto: “col passare dei secoli il livello dei diritti umani è cresciuto per assicurare che i governi non abusino del loro potere; nell’epoca moderna, nelle quali le multinazionali sono più potenti dei governi, è diventato urgente estendere le norme che difendono i diritti umani per assicurare che le multinazionali non abusino del loro potere”.

E’ una emergenza gigantesca non legata però ad un fatto occasionale, ma alla tendenza assunta dall’economia mondiale e dal sistema di relazioni politico-economico-militari che essa ha creato.

Un alfabeto per la pace: A come Acqua.
Se proviamo a pensare quante volte in un giorno usiamo l’acqua ci rendiamo conto della sua importanza.
Eppure ogni anno quasi undici milioni di persone muoiono per malattie dovute alla mancanza di acqua potabile.
La metà sono bambini.
Inoltre secondo le statistiche il 40% della popolazione mondiale soffre di carenza di risorse d’acqua, 3 miliardi di persone vivono in case prive di un sistema di fognatura, solo lo 0,08% dell’acqua è pura, potabile.
“1 miliardo 200 milioni di persone (il 18% della popolazione mondiale) non hanno accesso a fonti di acqua potabile, e 2 miliardi e 400 milioni non dispongono di servizi igienici. Il risultato è che 2.200.000 persone muoiono ogni anno di diarrea, quasi tutti bambini dei paesi emergenti. Molti altri muoiono di malattie associate alla mancanza di acqua potabile, a servizi inadeguati e scarsa igiene” (G.H.Brundtland, Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Gli ecosistemi idrici mondiali degradati (a causa dei pesticidi e degli scarichi fognari e industriali) contribuiscono: secondo il “Water and Sanitation Program” si potrebbero salvare da 1.500.000 a 1.700.000 vite umane ogni anno se si diffondesse l’abitudine (la possibilità…) di lavarsi le mani col sapone dopo aver toccato escrementi.
Alla base di molti conflitti del mondo, come vedremo, c’è l’acqua.
Dal 1950 ad oggi la quantità annuale pro capite di acqua dolce è diminuita da circa 17 mila a 7 mila metri cubi, mentre la popolazione è raddoppiata e sono aumentati i consumi e gli sprechi.
L’acqua è un bene limitato, e questa consapevolezza sta già producendo ingiustizia con la corsa alla privatizzazione delle grandi fonti.
Per fare un esempio banale: a Modena è già in atto un’esperienza pilota, una ventina di automobili in funzione ad idrogeno (energia pulita). L’idrogeno si ricava dall’acqua: non sarà forse anche per questo che le multinazionali (15-16 in tutto) stanno accaparrandosi le sorgenti d’acqua, per trasformare un elemento fondamentale per la vita in un bene di possesso?
Gli esperti affermano che la maggioranza delle guerre del secolo scorso sono state provocate dal petrolio e aggiungono che le grandi guerre del secolo appena iniziato, con ogni probabilità, saranno causate dall’acqua.
L’acqua, il controllo dell’acqua, si colloca davanti al futuro dell’umanità come il problema dei problemi, ma già ora il controllo delle risorse idriche viene usato come mezzo di ricatto, pressione e oppressione.
La penuria idrica, e quindi il controllo dell’acqua, costituisce motivo d’instabilità strategico politica in molte parti del mondo (pensiamo solo che il 30% dell’approvvigionamento idrico di Israele arriva dalle alture del Golan…).
E con l’acqua vengono al pettine anche tutti i problemi di cui si parla da decenni e che sono anche concausa di questo fenomeno: foreste, inquinamento, effetto serra, desertificazione…
Nel 2025 due abitanti della terra su tre dovranno affrontare il problema della penuria d’acqua e molti di loro saranno costretti ad emigrare in cerca dell’acqua dolce di cui hanno bisogno,
La crescente penuria d’acqua minaccia di ridurre di oltre il 10% l’approvvigionamento alimentare globale.
L’agricoltura assorbe già il 70% dell’acqua dolce del pianeta.
In un mondo assetato i paesi poveri dovranno scegliere se usare l’acqua per irrigare i raccolti o per scopi domestici e industriali.
Per il miliardo e 300 milioni di persone che vivono con un dollaro al giorno l’aumento del prezzo delle derrate potrebbe significare una condanna a morte.

L’accesso ad acqua igienicamente sicura è un’esigenza universale e un diritto umano fondamentale. Questo diritto può essere garantito solo da una gestione sostenibile, partecipativa e democratica, di quella che è la risorsa più preziosa per la continuità della vita nel pianeta.
Un’indagine Nielsen ha stabilito che le prime dieci acque minerali più vendute in Italia hanno speso 296 milioni di dollari solo per gli spot e la propaganda. Quando viene fuori Del Piero con l’uccellino sulla spalla, lo paghiamo noi quando beviamo l’acqua. Sono 700 miliardi di vecchie lire solo per gli spot sui giornali, sulla radio, sui muri, sulla televisione . Oggi diventa un “bere prezioso”. Saremo capaci di rinunciare ogni tanto a qualche bottiglia di acqua minerale perché il ricavato vada a beneficio di quelle persone?

Deve crescere una consapevolezza critica come cittadini del mondo che usano cibo e acqua in modo razionale e responsabile, evitando gli sprechi, per recuperare un giusto equilibrio fra uomo e natura e un giusto rispetto tra uomo e uomo, in base a un principio di uguaglianza fra nord e sud del mondo.

Acqua: una risorsa contro la povertà e per la pace, di Alex Zanotelli
“Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello in mezzo alla piazza della città e da una parte e dell’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese” (Apocalisse 22,-12).
L’acqua è un bene fondamentale di cui tutti devono poter godere gratuitamente. Oggi nel mondo si affaccia lo spettro di una mercificazione dell’acqua. Anche in Italia con la finanziaria di due anni fa, il 40% della fornitura d’acqua veniva ceduta ai privati. Questo succede o sta per succedere anche in altri paesi europei e di altri continenti.
Dobbiamo combattere per evitarlo perché l’acqua è un bene comune e pubblico e tale deve restare. L’acqua deve essere gestita dai cosiddetti poteri pubblici. Questo problema sarà ancora più drammatico in Africa, dove già oggi solo pochi hanno accesso all’acqua potabile: in futuro si scateneranno guerre per il diritto all’acqua, guerre che si sommeranno alle 17 che già insanguinano questo continente.
L’acqua non deve essere trasformata in merce perché è il cuore stesso di Dio e come tale è il bene più grande.



La scheda
Acqua e vita:
La vita sul nostro pianeta è comparsa ed ha iniziato a svilupparsi nell’acqua (circa 800 milioni di anni fa);
Le piante, gli animali e gli esseri umani non possono vivere senz’acqua;
-un uomo può sopravvivere per settimane alla mancanza di cibo, ma solo pochi giorni a quella dell’acqua: essa costituisce infatti il 75% del corpo di un bambino e il 50% di quello di un anziano;
Ogni giorno il fabbisogno idrico vitale per persona è il seguente:
- 40/50 litri per uso domestico
- 2/3 litri d’acqua da assumere, tra bevande vere e proprie e alimenti ricchi di liquidi;
L’acqua è un elemento centrale per lo sviluppo economico, culturale e sociale: basti pensare all’agricoltura, alla pesca, ai trasporti fluviali, all’uso come fonte di energia. 

Acqua per tutti:
Il 71% della superficie terrestre è coperta d’acqua, ma solo il 3% è acqua dolce;
- di questo 3% solo lo 0,3% è presente nelle acque di superficie;
L’acqua dolce utilizzabile dall’uomo potrebbe essere comunque sufficiente:
- se fosse distribuita in modo omogeneo sul pianeta: invece circa l’80% è concentrata nei bacini costituiti dai cinque laghi più grandi e dei cinque maggiori sistemi fluviali della terra;
- se i paesi del terzo mondo potessero permettersi le costose tecnologie necessarie per sfruttare al meglio le risorse idriche avrebbero acqua a sufficienza;
Dal 1950 al 195 la quantità di acqua dolce disponibile per persona si è ridotta a livello mondiale del 56%.

Acqua malata:
Sono moltissime le malattie originate dall’utilizzo o dalla presenza di acque contaminate: tifo, colera, dissenteria, epatite ecc.
Ogni anno nel mondo questa malattie causano almeno 5 milioni di morti, di cui 2 sono bambini deceduti in conseguenza della sola dissenteria.
In Africa il 47% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile.
Nei paesi del terzo mondo un grave problema è rappresentato dall’aumento della popolazione povera che si concentra nelle aree urbane periferiche, prive di servizi e di un adeguato sistema di rifornimento idrico. In sud America per esempio il 60% degli individui più indigenti risiede proprio in queste zone e l’acqua a disposizione è inquinata mediamente 11 volte più che in Europa.

Ingiustizie idriche:
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 17 milioni di persone non ha accesso all’acqua potabile e 2 miliardi ne hanno a disposizione solo di cattiva qualità.
In 29 paesi del terzo mondo il 65% della popolazione è al di sotto del fabbisogno idrico vitale.
Fra le varie nazioni la quantità d’acqua a disposizione per persona è molto diversa: negli Usa 425 litri, in Italia 237, in Francia 150, in Uganda e Madagascar 10.
Per un campo da golf sono mediamente usati 360.000 metri cubi di acqua all’anno.
In alcune zone degli Usa il 50% dell’acqua potabile disponibile è utilizzato per innaffiare il giardino di casa
(Fonte: G.M.A)



postato da carnesalli | 09:22 | commenti (1)
politica, democrazia, mondialita, villaggioglobale, economia - articoli

martedì, marzo 20, 2007
 
D – Difesa della famiglia…

“I gay arrotiamoli, alla maniera degli Apache: cinghia di cuoio legata intorno alle tempie che asciugandosi al sole si stringe e il cervello scoppia”

Parole di Piergianni Prosperini, dirigente di An, assessore ai giovani (Dio li aiuti) alla Regione Lombardia, pubblicate dal Giornale di famiglia.







La senatrice Binetti sostiene che l’omosessualità è una malattia: ma curarla con la garrota…
Eminens, anche qui nulla da dire?
(Qualcuno che conoscete e che mi manca, avrebbe invece molto da dire al riguardo…)

postato da carnesalli | 09:39 | commenti (4)

sabato, marzo 17, 2007
 
G – Garbo e grinta
Ieri sera concerto di Fiorella Mannoia.
















































Una personalità forte e coerente,
una presenza che trasmette carattere e tenerezza,
una voce che accarezza il lato emozionale e quello razionale,
testi che titillano i pensieri e i sentimenti più profondi.
Una musica che parla, scalda
e mescola cuore e cervello,
in un amplesso dolcissimo.

postato da carnesalli | 10:33 | commenti (2)

lunedì, marzo 12, 2007
 
G – Giovanni
Ho pensato spesso in questi giorni al “nostro” Giovanni.
Molti di noi lo conoscono, anche se solo “virtualmente” (ma non per questo meno intensamente, azi).
Altri anche direttamente.

Mi è venuto in mente in particolare un mio post di qualche tempo fa, sollecitato in qualche modo proprio da lui, e che comunque – dopo uno scambio di mail - era “dedicato” proprio a lui ed a una parola che anche a lui piace moltissimo.

Lo ripropongo tale e quale – con la sola aggiunta di due suoi commenti, quanto mai attuali – perché so che qualcuno, in questa situazione per lui difficilissima, potrà leggerglielo.
Chissà che non ne tragga giovamento, che gli faccia com - pagnia.

Una parola forse l'abbiamo trovata.

Comunque sia, servirà a fargli sapere che gli sono – gli siamo – vicino.

C – Compagno
Mi è sempre piaciuto il vocabolo, il termine “compagno”, anche se lo uso poco.
Non tanto - non solo - in senso “politico”, di appartenenza (anche se importante, e pregno di significati), quanto in senso “etimologico”.
Compagno: chi condivide il pane.
Quindi la vita, la quotidianità, la fatica.
Ma anche i sogni, le utopie, le gioie.
E infine, un progetto comune, un “destino”.
C’è sotteso un senso di lavoro comune e condivisione: proprio come a tavola.
Ha un sapore di intimità, complicità, solidarietà che nessuna altra parola contiene.
Forse “fratellanza” o “amicizia”: ma con un senso, per così dire, meno forte, più teorico.
Sono fratello di tutti, amico di tanti: ma ciò ha una valenza quasi metafisica (anche se non è sempre così: essere “fratello universale” per De Foucald aveva un significato molto preciso).
L’appellativo compagno non ha necessariamente una connotazione religiosa, o etica (non esclude il trascendente, ma neppure lo presuppone), non richiede necessariamente una conoscenza o una frequentazione consolidate.
“Compagno” è termine concreto, proprio come lo spezzare il pane.
Contiene una scelta di vita o almeno di esperienza assieme; richiama il pasto comune, uno dei momenti di condivisione più belli.
Non per niente, credo, si dice compagno di viaggio, o compagno di strada, o di sventura, o anche compagno di giochi.
O si afferma: “è il compagno della mia vita”.
Più semplicemente talora ci si fa “compagnia”.
O se qualcuno è particolarmente simpatico e socievole e crea “gruppo”, lo definiamo “compagnone”.
Non a caso è facile trovare subito sintonia tra “compagni”, tra chi condivide la stessa avventura, qualunque essa sia (ma non può essere “qualunque”: sennò diremmo, che so, collega o socio) .
Non può essere mai un rapporto di affari o di convenienza, anche se talora è di “utilità”, ma sempre di complicità: come scegliere il golf magari più usato, ma che ha preso la tua forma, nel quale sai che ti troverai a tuo agio.
Ma forse è il prefisso “com” che mi intriga: com-passione, per esempio.
Non avere pietà di qualcuno, ma “patire assieme”.
A tutti i com-pagni (e in particolare al “nostro” Giovanni) che condividono con me pezzi di vita, sogni e speranze (qualche volta utopie), fatiche e gioie, lavoro e risultati, più spesso delusioni, che ho incrociato anche per pochi minuti, ma con i quali condividevo in quel momento un sogno e un progetto, o che non vedrò mai (ma so che ci sono), dedico questa bella canzone di Roberto Vecchioni.
Che “sento” mio compagno, perché “sento” che percorriamo la stessa strada.

Companeros
Saludos compañeros
de mi vida e de mi muerte,
forse un po' rincoglioniti
dalla "coca" e dalla suerte:
Felipe è diventato un
un pezzo grosso della destra,
Sebastiano vende idee,
Ramon lattine di minestra
Juliano ha il suo giornale
di previste previsioni,
Pancho è l'unico rimasto
sulla nuvola in calzoni.
E in fondo a quella strada
non ci sono mai arrivati,
per malinconia del tempo,
o, forse, il tempo li ha ingannati.
Avevan gli occhi stretti
a furia di guardare il sole,
il sole,
che non sorgeva mai sul mare.
Avevan mani grandi
a furia di abbracciare il mondo,
e il mondo,
non si faceva mai abbracciare:
parlavano cantando
e innamoravano ragazze belle
e perse dentro i loro occhi
scintillanti come stelle
compañeros
compañeros
compañeros,oh, oh.
Però non v'illudete,
non passiamo mai la mano,
nella luce del tramonto
più ne partano e più siamo.
Compañeri si è dentro
e non abbiamo vie d'uscita:
è il sogno d'esser uomo
in questa e non nell'altra vita.
amore, amore, amore
metti un fiore alla finestra,
che continuino a vederlo
e che chinino la testa:
in fondo a quella strada
c'è un campo di mimose;
forse non ci arriveremo...
ma non cambiano le cose.
Abbiamo gli occhi stretti
a furia di guardare il sole,
e questo
è solo un modo di guardare,
abbiamo mani grandi
a furia di abbracciare il mondo,
e questo è il solo modo di
abbracciare:
e siamo in ogni strada
in ogni angolo del tempo, vivi,
e ci riconosciamo da un sorriso
che non è mai spento:
compañeros,
compañeros,
compañeros, oh, oh.
°°°°°°°°°°°°° commenti °°°°°°°°°°°°°°°
Roberto, adesso dovrei trovare parole, qualsiasi altra parola agginta sarebbe poca cosa davanti alle tue. Amo il significato della parola Compagno, amo il significato della parola Gruppo . Le uso spesso e conosco il Valore di tali parole, ne conosco l'importanza, l'appartenenza.
Pur usandole spesso, non le ho "consumate", credo in esse, totalmente ci credo, da una vita!
Grazie.
Saluto.
Giovanni
Roberto, è vero si fatica nel vano tentativo di "ricomporci", poi qualcuno mischia le carte e noi lì, a cercare di ritrovare la giusta strada per non perdersi. Come capirai, so bene quale momento sia. Sono mostruosamente diretto e senza giri di parole , viviamo stretti alla famiglia, tutta, tutta quella che c'è, proprio perchè dare sempre per scontato il presente, alla fine ci giochiamo il futuro. Ti sono vicino e qualcuno può dirti quanto.
Giovanni

postato da carnesalli | 18:28 | commenti (4)

giovedì, marzo 08, 2007
 
A – Anch’io (c’ero e lo voglio).
Di un mio inconsapevole ritratto, di tempi pesanti, della voglia di cambiare il mondo e di un viaggio che continua…
(è un po’ lungo, ma leggetelo, ne vale la pena…)

Dedicato a Giovanni: teniamo duro anche per te...
Noi che volevamo cambiare il mondo
Mentre attraversavo la strada che porta dalla mia stanza in  Campidoglio a questa sala, a un certo punto è squillato il telefonino e mi è apparsa una notizia di agenzia: “Iraq, autobomba uccide diciotto ragazzini che giovavano a pallone a Ramadi”
Ho pensato a quei versi  di “Cercando una città” il nuovo libro di poesie di Pietro Spataro, che dicono “non sa la bomba l’indirizzo giusto” e “inerte porta morte”.
Mi sono venuti in mente quei diciotto bambini che giocavano a pallone, mi è venuta in mente cosa era la loro vita, quali fossero le loro aspettative….
E una bomba ha cancellato tutto questo.
Pietro Ingrao mi ha detto una cosa molto giusta, ed è la sensazione che anch’io ho avuto leggendo il libro, e cioè di un libro drammatico, il racconto di un dramma collettivo.
Uno dei suoi versi dice: “volare è leggerezza ma non è leggero questo tempo, ancora non è leggero” (e a me leggendo queste parole è venuta in mente una bellissima canzone di Ivano Fossati n.d.r.)
E’ la sensazione cioè di un tempo pesante. E’ una sensazione della quale tutti noi facciamo una certa fatica a liberarci. Viviamo in un tempo pesante, che ci lascia uno sguardo smarrito di fronte a una certa  contemporaneità, a uno sviluppo senza qualità, a una modernità senza anima.
Lo voglio dire come mi viene dal cuore: noi abbiamo fatto gli striscioni, abbiamo stampato i volantini, abbiamo portato le nostre bandiere, abbiamo gridato i nostri slogan, abbiamo passato poche ore a dormire perché volevamo cambiare il mondo, e se ci fermiamo razionalmente  e freddamente a pensare, dobbiamo dirci che per una parte ci siamo riusciti.
Ma questo è razionale…
… Se invece guardiamo nel profondo del nostro cuore, se invece guardiamo dentro di noi e ci guardiano intorno, vediamo tante cose che non avremmo voluto e questo ci fa del male.
Perché e vero che alcune cose sono cambiate come volevamo, che tante ingiustizie non ci sono più, che tanti diritti sono stati acquisiti, che tante dittature sono state cancellate.
Ci accompagna anche però una sensazione di smarrimento nel guardare certe cose del mondo che ci appaiono impensabili.
Quando vedo che negli Stati Uniti ha un grande successo un sito che vende dei reggiseni luminosi che si accendono e si spengono… rimango colpito se lo metto a confronto con i diciotto ragazzini che muoiono a Ramadi o con quelli che oggi stanno morendo perché nessuno gli dà una ciotola di riso.
Quello è un mondo che non ci può piacere, almeno a noi che facevamo gli striscioni, stampavamo i volantini, gridavamo gli slogan e volevamo cambiare il mondo e forse un po’ l’abbiamo fatto però non ci basta.
E ci fa arrabbiare, ci dà dolore quello che non siamo riusciti a cambiare o forse quello ci è persino cambiato contro.
… E alla fine pur essendo come giustamente è stato detto, un libro drammatico, è anche un libro che ha un segno di speranza.
Perché è il libro di uno che non smette di cercare, di uno che cade e si rialza, di uno che non ha voglia di interrompere il viaggio e che pensa ci sia ancora da fare.
E finchè si pensa che c’è ancora da fare per ciascuno di noi individualmente e collettivamente, allora forse il futuro può essere meno cupo di quanto razionalmente ci possa apparire.
(intervento di Walter Veltroni durante la presentazione in Campidoglio
del libro di Pietro Spataro “Cercando una città” – Manni Editore)

postato da carnesalli | 09:06 | commenti (7)
politica, idee, democrazia

lunedì, marzo 05, 2007
 
S - Schifo
E’ di questi giorni la polemica sulla pubblicità di una famosa marca
di moda, in particolare sul messaggio che (neanche troppo velatamente)
trasmette e, per così dire, “legittima”.
Se mi è consentito, una delle più offensive e disgustose che abbia mai
visto.
Altro che donna oggetto: qui siamo – in una sorta di immagine a
cavallo tra il futurista e il decadente - all’incitamento aperto allo
stupro (come se ce ne fosse bisogno…), alla sua legittimazione, all’
esaltazione del maschio “superuomo”.
Sono offeso, come uomo e come donna: come essere umano cioè.
Chi volesse può sottoscrivere questo appello dell'amica Floreana.
Mi chiedo solo, anche qui: tutto ciò non contraddice i “valori della
famiglia” (e non solo quelli)?
Eminence! Nulla da dire?
Forse, come dice il sommo poeta: “è troppo stanco o troppo occupato”…
Una chicca: la ditta Pelino di Sulmona è famosa per i suoi confetti.
L’ultima novità della casa è una linea di confetti color lilla per
“nozze” gay.
Niente di strano, fin qui.
Senonchè l’impresa appartiene anche a Paola Pelino, deputata di Forza
Italia, fieramente schierata contro i Di.co.
Che, naturalmente, non fa un plissè.
Anzi, a chi le fa notare una certa contraddizione (per altro
abbastanza evidente) replica con una placidità che farebbe impallidire
Ponzio Pilato e con una faccia di bronzo degna dei bronzi di Riace: “Le
opinioni politiche sono distinte dal commercio. Un imprenditore non si
chiede mai a chi arriva il suo prodotto”.
Nessun commento.
Solo che, giuro, non l’ho inventato.
Sempre più bianchi, questi sepolcri…

postato da carnesalli | 09:04 | commenti (10)
pruriti

giovedì, marzo 01, 2007
 
P – Pensiero della sera

Dire di non dire più Dico: questo il succo dell’intervento di Giulio Andreotti prima di lasciare l’aula del Senato ieri sera.
Lui è contro il riconoscimento di diritti alle persone che vivono una convivenza di fatto.

Ma Lui è lo stesso per il quale la Suprema Corte di Cassazione ha sentenziato “… si deve concludere che ricorre pure nei limiti del periodo in considerazione il giudizio negativo espresso dal Tribunale in ordine alla sussistenza del reato… Non resta che confermare il già precisato orientamento ed emettere, pertanto, la statuizione di non luogo a procedere per essere il reato concretamente ravvisabile a carico del senatore Andreotti (associazione per delinquere con Cosa Nostra fino alla primavera del 1980 – insufficienza di prove dall’81 al ’93 ndr) estinto per prescrizione.”

Mi Dico: ma allora l’unica convivenza consentita è quella con la mafia?

postato da carnesalli | 08:50 | commenti (10)
politica, legalita, pruriti, controcanto, fessono

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